Nel suo Le piccole persone (edito postumo da Adelphi) Anna Maria Ortese lamenta l’inesistenza nella nostra letteratura, «se si fa eccezione per alcuni poeti», del piccolo e del segreto: «piccolo come opposto al grande, all’importante, al desiderato, al pregiato (piccolo, in questo senso, è il sentimento di un bambino per il suo cane)» e segreto, ciò che è interno al reale e dunque invisibile. Sul filo della suggestione di Ortese, nella narrativa italiana contemporanea, Sara Gamberini potrebbe benissimo considerarsi una di queste eccezioni. In tutti i suoi libri, infatti, c’è una particolare cura nei confronti del mondo dell’infanzia e dell’infanzia del mondo, una tensione verso l’invisibile. Infinito Moonlit, suo secondo romanzo, pubblicato con NN editore (pp. 298, euro 18), ne è la perfetta dimostrazione: Teresa, la voce narrante, e sua figlia Maria sono molto vicine alle «questioni del cielo», entrambe hanno quella capacità propria dei visionari di stupirsi e porsi domande di fronte al mistero dell’universo, entrambe abitano poeticamente il mondo.

TERESA ama perdutamente Giovanni ma ne è solo in parte ricambiata, preferisce sparire invece che assistere al suo disamore; Maria è una bambina capace di mettersi in ascolto dell’altro e Moussa, il padre di origini senegalesi, musulmano ma intimamente animista, le insegna a parlare con gli spiriti. Teresa ascolta la figlia come un oracolo, ma sente anche di doverla proteggere dalla infelicità della propria infanzia – da cui emerge un difficile e irrisolto conflitto con Dea, la propria madre – e dalla scuola che vede con sospetto il carattere riservato di Maria. Teresa decide allora di affidarsi al proprio istinto, farà cambiere scuola alla figlia e insieme andranno a vivere in un casa nel bosco.
L’amore, l’amore per Giovanni, l’amore per la bambina, e più in generale l’amore per tutto ciò che ci circonda, è il grande tema che attraversa il romanzo: «quale difficile compito trasformare la terra in amore» scrive Nelly Sachs nel libro che Giovanni regala a Teresa. E quale difficile compito parlare dell’amore: Gamberini lo aveva già fatto nel suo primo romanzo, Maestoso è l’abbandono (Hacca edizioni), e poi ancora insieme a Elisa Talentino nell’albo illustrato Tutto era azzurro (Topipittori). Ed è proprio da questo piccolo e prezioso libro che Infinito Moonlit sembra prendere forma: anche qui una casa nel bosco, una bambina con «le antenne per accadimenti invisibili», anche qui la magia e sopra ogni cosa l’amore. Di Tutto era azzurro, Infinito Moonlit conserva l’atmosfera rarefatta e sospesa, da fiaba; non semplice però da mantenere in un romanzo corposo di trecento pagine. L’intuizione è stata di scriverlo interamente senza dialoghi e all’imperfetto – cosa infatti meglio dell’imperfetto per indicare quel tempo in cui «tutti gli oggetti erano collegati tra loro, e così anche le persone, gli animali» come si legge nell’incipit del libro?

LA PROSA POETICA di Gamberini segue un ritmo cadenzato, quasi ipnotico, intervallato dai corsivi con cui la scrittrice dà voce ai mondi sottili, «popolati da entità silenziose in camicia da notte, minuscoli bambini millenari che si nascondono sulle nostre spalle e ci parlano direttamente dentro i pensieri, o ci aspettano seduti su un ramo, sulla testa di un cane, a cavalcioni sulle maniglie delle porte». La stessa scelta onomastica affonda le radici nel tempo dei nostri antenati: Teresa, Giovanni, Maria, Moussa (il nostro Mosè), Dea, Cosimo sono tutti nomi antichi, che hanno a che fare con le origini, indissolubilmente legati alle questioni del cielo. Teresa addirittura diventa Teresa della Via Lattea e Maria Infinito Moonlit, che è il nome con cui lei e la madre decidono di chiamare un iceberg rettangolare avvistato nella penisola antartica.
La dimensione onirica e fortemente simbolica che pervade il libro non impedisce tuttavia a Gamberini di sviscerare con estrema delicatezza due questioni di grande attualità come il maternage e l’educazione. Tanti i momenti in cui Teresa si interroga su ciò che è bene e ciò che male per la propria figlia, mostrando come sia difficile per le madri affidarsi al proprio istinto materno, continuamente bersagliate come sono da esperti che dicono loro quello che non devono fare. «Le madri non dovrebbero avere bisogno dei figli, mi ripeteva la mia analista quando parlavamo di Dea, molto prima che nascesse la bambina. Ma io di Maria avevo bisogno sempre». Se poi si è avuta un’infanzia infelice come Teresa c’è da chiedersi subito, come si legge nel risvolto di copertina, se sia possibile crescere una figlia felice. Fortunatamente «nei mondi sottili si sa da tempo che non c’è incuria, inquietudine, magnificenza, che dipendano interamente dai gesti di un genitore». E così non solo Teresa scopre di poter crescere una figlia felice, ma assiste al «riscatto» di Dea, che nel ruolo di nonna si rivela molto diversa dalla madre che è stata.

ANCHE SULLA SCUOLA e sul ruolo degli educatori Gamberini si mostra particolarmente lucida e attenta. Il racconto delle sofferenze patite da Maria a scuola non fa altro che evidenziare quello scarto, sempre più spesso incolmabile, tra ciò che vede la scuola e ciò che sente il bambino: «Per ogni vocazione insolita sui bambini nasce un sospetto che rende la loro infanzia insicura. Il bambino finisce in un luogo o inospitale, senza asilo, senza fuoco, vicino a un orso bianco che dorme e non si volta mai a guardarlo».
La salvezza di Maria sta nell’incontrare il maestro Cosimo che per dirla alla Hilmann del Codice dell’anima riesce a percepire l’invisibile fatto visibile: «Cosimo sosteneva che i bambini arrivano dai mondi infiniti con il loro corredo di inclinazioni e poi qualcuno li aiuta a scovarli». Grazie a Cosimo e alla casa del bosco, Teresa e Maria entrano in contatto con i mondi sottili, scovano la propria ghianda: e dove se non nel bosco poteva nascondersi?