Ne è passato di tempo. Nel 1963 Pierre Parodi, medico e nutrizionista del movimento dell’Arca, scrisse il libro Giusta alimentazione e lotta contro la fame (Quaderni di Ontignano) sulla base della sua esperienza di volontario in Africa. All’epoca, rispetto al mito delle proteine animali, Pierre Parodi andava controcorrente: spiegava la possibilità e opportunità di prevenire e anche trattare la malnutrizione con le combinazioni di cereali-legumi o cereali-semi oleosi, tradizionali quasi dovunque ma non di rado abbandonate.

E VENTI ANNI FA l’Institute of Environmental Studies, dell’università di Vrije nei Paesi bassi, presentava la ricerca Sustainable protein production and consumption: pigs or peas? (maiali o piselli?), risultato del programma multidisciplinare Profetas (Proteins, Foods, Environment, Tecnology and Society) che da anni analizzava la fattibilità e opportunità ambientale, tecnica e sociale di una transizione planetaria alle fonti proteiche vegetali. Parlava, allora, di novel protein foods.

ORMAI, LE ALTERNATIVE PROTEICHE vegetali – tradizionali come i legumi e la frutta a guscio; poco trasformate come le farine e le bevande da legumi e semi oleosi; acquatiche come alghe e dintorni – fanno parte di una più ampia famiglia, comprendente: ingredienti vegetali molto manipolati per imitare un hamburger perfino nel colore oltre che nel sapore; insetti e loro farine; carne coltivata (multinazionale e costosa, per ora). L’Ue stessa – che ancora sovvenziona gli allevamenti – finanzia studi e progetti in questa direzione.

MA I SISTEMI ALIMENTARI FUTURI non possono continuare a dipendere da poche specie dominanti – grano, mais, soia e simili – seppur variamente trasformate. Da qualche tempo si rivolge attenzione alle Nus (Neglected and underutilized species): migliaia di specie eduli che affondano le radici in un lungo passato di produzione e consumo. Coltivate o raccolte, nutrienti, eco-sostenibili, adattabili, accessibili anche ai più poveri e tradizionalmente nelle mani di produttori rurali e popoli indigeni. Insomma cruciali nella lotta contro povertà, fame e malnutrizione, e un concorso alla tutela della biodiversità. Nus Community è una piattaforma di condivisione dedicata al tema; è frutto dell’alleanza fra due organizzazioni internazionali di ricerca, Bioversity e Ciat (Centro internazionale per l’agricoltura tropicale). E il 2023, con l’anno internazionale Onu del miglio e dei suoi cugini sorgo, fonio, teff e altri, sembra proprio chinarsi sulle colture «minori».

FRA LE SPECIE NUS DI LEGUMI, SEMI OLEOSI, frutta a guscio, insomma quelle a vocazione proteica, alcune sono oggetto di progetti di valorizzazione. Esempio il fagiolo tepary, capace di crescere con una pluviometria minima (40-170 mm annui); resiste come coltura quasi solo in Salvador ma può giocare un ruolo nei sistemi alimentari mesoamericani che devono adattarsi al nuovo clima. La noce di Kersting è una specie di arachide, una fonte proteica accessibile, come peraltro il fagiolo africano perenne.

UNA SORPRESA NELLA NUS COMMUNITY è la portulaca oleracea, pianta che cresce spontanea quasi dappertutto nel mondo ma è negletta ovvero considerata invasiva finché non la si conosce e assaggia. Bene; ma che cosa c’entra con le Nus a valenza proteica? C’entra: contiene moltissimi acidi grassi Omega 3 (fa concorrenza al pesce).

LE PROTEINE DAGLI ALBERI, la nutriente famiglia delle noci, aggiungono al cibo un valore ecosistemico. Talvolta questi frutti, buoni e vendibili, aiutano a evitare la deforestazione; si pensi alla noce del Brasile del commercio equo. E in Africa, nella Grande muraglia verde contro il deserto, monumentale sforzo che percorre otto paesi, si piantano anche alberi fruttiferi. Come la moringa oleifera, albero miracolo le cui foglie oltre a vitamine e sali minerali hanno proteine di qualità; eduli anche i baccelli verdi e i semi. Si è diffusa, di recente, ma per l’African Journal of Food Science è sottoutilizzata rispetto al suo potenziale.

ANCHE IL PISTACCHIO AFGHANO è specie negletta? Prima dei quattro decenni di guerra, il paese aveva enormi boschi di pistacchi. Nient’affatto negletti. Ma anche gli alberi hanno bisogno di pace.

E’ DEGLI ANNI 1930 IL LIBRO SOVIETICO La creazione delle piante, di Ilin. Racconta fra l’altro la spedizione in Afghanistan degli scienziati Vavilov e Kobele, nel 1924, alla ricerca di varietà vegetali utili anche in patria. «Ogni mercato di una città afghana è un museo di storia delle colture». Fra quelle proteiche si indicavano il pisello selvatico, le lenticchie, la noce selvatica.

E’ UNA NUS PROTEICAANCHE IL FRUTTO dell’Artocarpus altilis, ci informava un articolo su Scientia Horticolturae del 2014. Parliamo del mitico albero del pane. Una delle pochissime fonti vegetali nominate in Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne, in mezzo a un inaudito macello di ogni specie animale, d’acqua, di terra e d’aria. Nei mesi scorsi, attivisti del Benin hanno chiesto al governo di promuoverlo, come alternativa al grano importato. Ma adesso il frutto si sta facendo la fama di superfood, cibo nutriente e con proprietà salutari.

COSI’, LA GENTRIFICAZIONE E’ IN AGGUATO: se i cibi proletari diventano trendy, il loro prezzo può aumentare e la loro disponibilità diminuire proprio per chi abitualmente li assumeva. E’ già successo, ad esempio, alla quinoa andina.