Europa

Le privatizzazioni, un nodo politico

Grecia Il ministro Varoufakis ha ribadito che i contratti in essere non si toccano, anzi: «Darei le ferrovie per un euro, in cambio di sicure garanzie di sviluppo»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 6 febbraio 2015

Forse in parte oscurata dal tema del debito, in Grecia la questione delle privatizzazioni – avviate da un quinquennio, fermate e riconsiderate dal governo Tsipras – sta emergendo in realtà come un nodo chiave della politica del Paese.

Non è un caso che essa, insieme agli ulteriori tagli a pensioni e dipendenti pubblici, ricorra tra le condizioni poste ad Atene dal governo tedesco in queste ore, e accolte dai Greci con un «ochi» (no) paragonabile a quello opposto all’invasione italiana del 1940.

Il governo Samaràs, dietro preciso mandato della trojka, aveva avviato un vasto piano di dismissioni, gestito sin dal 2011 dal «Fondo per la Valorizzazione del Patrimonio Privato dello Stato» (acronimo Taiped).

Di dubbia costituzionalità, esso era teoricamente preposto a vendere immobili privati, ma in realtà bastava un piccolo decreto ministeriale per concedergli di volta in volta l’asta di beni pubblici d’ogni tipo: nel programma dichiarato vi era l’intenzione di trasformare la Grecia in un Eldorado per gli investitori stranieri – di fatto sono poi arrivati soprattutto Russi e Cinesi, come mostra l’analisi di Vincenzo Comito qui a fianco. In contatto costante con la trojka, il Taiped è stato presieduto da neo-liberisti sfegatati come l’indimenticato Stavridis, e ha accumulato e in parte predisposto per l’alienazione le lotterie nazionali e l’acqua pubblica di Salonicco (interessamento della francese Suez), spiagge (ad esempio Elafònissos a Creta) e siti archeologici (tra gli altri il teatro della battaglia di Salamina), piste da sci sul Parnaso e antichi edifici nel cuore della Plaka, e chi più ne ha più ne metta.

Partito con l’idea di fruttare alle casse greche 50 miliardi entro il 2015 (poi calati a 10 entro il 2016), l’ente ne ha per ora realizzati solo 2,9, complici anche i rallentamenti dovuti ai ricorsi e alle lotte dei cittadini. L’obiettivo per il 2015, prima dell’avvento di Syriza, era di 2,5 miliardi (per avere un termine di confronto, Padoan in Italia si attende quest’anno 10 miliardi da Enav, Enel, Poste e Fs), ottenuti dall’alienazione totale o parziale (in quote azionarie) di molti beni.

Vediamo i principali.

  • 14 aeroporti di provincia (da Salonicco a Rodi, da Corfù a Santorini): il ministro Stathakis ha annunciato che verrà bloccata la cessione alla compagnia tedesca Fraport (il cui maggiore azionista è peraltro il Land dell’Assia, dunque di fatto lo Stato tedesco), che a novembre il Taiped aveva giudicato la migliore offerente con un prezzo di 1,23 miliardi.
  • L’aeroporto di Atene «Venizelos», per il quale sarebbero in prima linea i Cinesi, anche se rimane sullo sfondo un interesse tedesco.
  • Il vecchio aeroporto di Atene «Hellinikòn», ceduto al fondo immobiliare Lamda Developments del miliardario Latsis (vero mattatore di questa onda di privatizzazioni), che intende costruirvi centri commerciali, alberghi e un’altissima torre con vista sulla città (ma la transazione è stata bloccata dal Consiglio di Stato ed è sotto indagine della Commissione Europea per violazione delle norme di trasparenza, concorrenza ed equità).
  • L’ente dell’energia elettrica (Dei): il nuovo ministro delle attività produttive Panayotis Lafazanis (il capo della «Piattaforma di Sinistra», la corrente più «oltranzista» di Syriza) ha annunciato di aver bloccato l’alienazione di questo ente (dichiaratamente modellata su quella di Enel) e di quello gemello della rete elettrica, che era già giunta alla fase delle offerte vincolanti: il governo pensa infatti a un’azienda dell’energia elettrica con capitale a maggioranza pubblico e con obiettivi di sviluppo ambientale e produttivo.
  • L’ente nazionale del gas (Depa) e quello delle condotte (Desfa): le condizioni poste dai russi (Gazprom) venuti ad Atene per comprarli erano incredibili (prezzi stracciati; copertura statale dei debiti verso l’ente; clausole di salvaguardia in caso di cambio di governo o di intervento dell’Ue), ma Samaràs le aveva praticamente accettate; ora Lafazanis ha bloccato la vendita del Depa (la cessione ai russi aveva incontrato difficoltà sul piano interno e internazionale), ma quella del più piccolo ma strategico Desfa per 400 milioni alla compagnia azera Socar è ormai troppo avanzata, e se entro il 22 aprile arriverà il parere di conformità della Commissione Europea, verrà definitivamente confermata e rappresenterà – secondo lo stesso ministro – un passo importante per la creazione del Tap, il gasdotto che com’è noto dovrebbe approdare a San Foca nel Salento e ridurre la dipendenza dalle forniture di gas russo.
  • I porti di Salonicco e del Pireo, per i quali a giugno si erano presentati diversi investitori internazionali, ammessi alla seconda fase della trattativa: il nuovo sottosegretario alla Marina Dritsas ha ora annunciato che gli enti portuali rimarranno in mano pubblica; non verranno messi in discussione gli accordi esistenti con la cinese Cosco, ma si farà in modo che abbiano risvolti fruttuosi anche sul piano sociale.
  • Il vasto territorio di Skuriès in Calcidica: la concessione alla canadese Eldorado Gold, che mirava allo sfruttamento dei giacimenti aurei incurante degli spaventosi effetti ambientali, verrà definitivamente revocata dal nuovo governo.

Rimane incerto il destino di altre privatizzazioni appena avviate, come quella dell’Ente petrolifero nazionale (Elpe, coinvolto anche nelle trivellazioni delle coste adriatiche alla ricerca di greggio), del ricco giacimento sottomarino di gas naturale al largo di Kavala, di altri 10 porti di provincia, e soprattutto del 90% delle poste e del 100% delle ferrovie (qui parevano in pole position i Russi).

La partita è molto delicata, perché all’interno di Syriza si scontrano posizioni diverse: da un lato alcuni, come il citato Lafazanis e la sottosegretaria Valavani (che ha chiesto l’altro giorno le dimissioni di tutto il CdA), vorrebbero la pura e semplice abolizione del Taiped – a loro avviso un «organismo criminale» (così il costituzionalista Kassimatis) o uno «strumento per annullare la sovranità del Paese e i diritti umani dei greci» (così, in un documentato libro bianco, la Fondazione Marangopulu) – e la sua sostituzione con un nuovo «Fondo del Patrimonio Pubblico». D’altra parte, la maggioranza del partito è più cauta, e lo stesso ministro Varoufakis ha ribadito l’altroieri che i contratti in essere non si toccano, e che anzi darebbe via le Ferrovie per un euro, se il compratore desse precise garanzie di sviluppo.

La questione ha anche forti risvolti politici: è su questo punto che si è registrata in passato la massima convergenza con l’alleato di destra (Anel) anch’esso anti-privatizzazioni, e la massima distanza dal partito del Potami, più aperto ai privati, che molti alla vigilia consideravano il candidato naturale ad appoggiare il governo di Syriza. La partita delle privatizzazioni appare così tra le più delicate – sul fronte interno e internazionale – per il governo di Alexis Tsipras.

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