Politica

Le preferenze della discordia. Ma il premier le vuole a metà

Le preferenze della discordia. Ma il premier le vuole a metàRoberto Giachetti, deputato Pd

Italicum Malumori nel Pd. Da Orfini a Giachetti il fronte del ’male minore’

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 5 agosto 2014

Il tema delle preferenze nella legge elettorale potrebbe non porsi affatto nel dibattito agostano. Nei prossimi giorni Renzi incontrerà Berlusconi per stringere i bulloni del patto del Nazareno e ridefinire i dettagli (che poi dettagli non sono affatto) della legge elettorale. La proposta che calerà sul tavolo non saranno infatti le preferenze ma un mix fra nomi bloccati dei capolista e una lista a preferenza libera. Una mediazione onorevole fra un leader di partito (e non parliamo solo di Berlusconi) che vuole assicurarsi un gruppo di fedelissimi alla camera e l’illusione della libera scelta dell’elettore. Denis Verdini, il plenipotenziario dell’ex cavaliere, avrebbe già dato il suo via libera.

Ma c’è ancora una possibilità che Berlusconi dica no. E che nella maggioranza esplodano i malumori dell’Ndc, per le quali, una volta approvato il nuovo senato non elettivo, «l’introduzione delle preferenze diventa una necessità imprescindibile» (Gaetano Quagliariello). E nel Pd: Roberto Giachetti, ex radicale oggi renziano non ortodosso e fan del Mattarellum, all’ultima direzione lo ha detto chiaro a un Renzi che chiedeva il mandato per trattare con Berlusconi: le preferenze non gli piacciono. Ieri lo ha ripetuto al Corriere della sera: le preferenze metterebbero in discussione «la storia maggioritaria del Pd»; i «ripensisti» pro-preferenza «come Bersani» ci ripensino di nuovo, perché lui è pronto a esibire «tutte le sue dichiarazioni al vetriolo contro le preferenze».

Giachetti ce la con l’area riformista del Pd che a gennaio, quando fu stretto il patto del Nazareno, fece un fuoco di sbarramento contro l’Italicum. Al grido ’preferenze’ l’allora presidente dell’assemblea Pd (e allora leader della minoranza interna) Gianni Cuperlo si scontrò a male parole con quello che all’epoca era solo il segretario del partito. «Gianni, avrei voluto sentirti parlare di preferenze quando vi siete candidati senza fare le primarie. Se me lo dice Fassina che ha preso 12 mila preferenze ok, ma non chi è entrato con il listino, non lo accetto». Cuperlo si offese di brutto dell’attacco diretto e si dimise dalla carica, lasciando platealmente il tavolo della direzione e sedendosi in platea.

Ieri, a dare man forte alla battaglia solitaria – per ora – di Giachetti hanno battuto un colpo i radicali. «Ci si sia dimenticati che le preferenze sono state responsabili dei peggiori mali della prima repubblica. Come ci si è dimenticati in fretta che gli italiani le abolirono con due referendum. In questo bailamme persino il ritorno al Mattarellum è un passo avanti contro quella che si configura come una controriforma», ha spiegato il torinese Silvio Viale, uno che pure ha simpatie renziane. «Nessun sistema è perfetto», ha concluso, «ma riciclare le preferenze significa ’cambiare verso’ nella direzione sbagliata, verso le macerie della prima repubblica».

In realtà nel Pd le preferenze piacciono poco. Basta pensare alle regionali per capire chi ha la meglio con questo sistema. Per Matteo Orfini, successore di Cuperlo alla presidenza, «in alcuni casi sono state lo strumento che favoriva il malaffare». E sulla rivista Left Wing la deputata Valente spiega che se le liste bloccate sono un male, le preferenze sono «un rimedio peggiore». Meglio sarebbero i collegi uninominali, ma in parlamento «non ci sono i margini»: leggasi Berlusconi non li accetta. E così, se dovesse andare a vuoto la mediazione con l’ex cavaliere, a consolazione di Renzi è già pronto il fronte del ’liste corte bloccate, male minore’.

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