Possiamo ragionare in modo analitico di crisi Covis 19, con termini il meno possibile roboanti? Prima assumiamo un atteggiamento sobrio, prima delineeremo misure di politica economica più idonee. Il primo, non banale aspetto da trattare con immensa cautela è la caratteristica tecno-economica della crisi. E l’analisi potrebbe offrire una risposta sul perché l’Europa continui a privilegiare alcuni strumenti rispetto ad altri. Così come il continuo e reiterato concetto di «mobilitazione» delle risorse, che a vario titolo variano da 3 trilioni per la prima emergenza Covid 19 e, così si dice, 1,5 trilioni dal fondo per la ripresa collegato al bilancio europeo.

Il Fmi ha provato a stimare gli effetti del Covid 19, così come l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) e il governo italiano impegnato nella predisposizione del Def. Non riporto le proiezioni economiche perché vorrei fissare un altro concetto. Tutte le stime riconoscono che la contrazione del PIL non ha precedenti storici (la crisi del ’29 impallidisce rispetto ai numeri di questa crisi), ma registrano anche una crisi particolare: dopo una violenta caduta del PIL del 2020, nel 2021 si osserva una crescita robusta, con dei rimbalzi tecnici del reddito estremamente accentuati. In letteratura si nomina questo tipo di crisi con la lettera V. Ovviamente il rimbalzo tecnico non può just in time recuperare le posizioni iniziali, ma offre un quadro analitico, probabilmente coerente, con le misure fino ad oggi intraprese e considerare a livello europeo.

Ma se è una V quella che ci aspetta, se si tratta solo di tirare la cinghia per qualche trimestre e poi tutto come prima, allora si fa tanto per rumore per nulla?

Da un lato tranquillizza e, purtroppo, giustifica il comportamento reticente delle istituzioni europee circa gli eurobond, illustrati come qualcosa che non ha precedenti storici (mobiliteremo trilioni di euro), ma che rimuovono il principio primo dell’intervento pubblico quando si manifesta una violenta caduta del reddito; dall’altro si perde il profilo storico del processo capitalistico.

Piaccia o meno, dobbiamo registrare una perdita di Pil potenziale, termine che odio ma aiuta i più a comprendere, pari a quasi il 4% a livello mondiale, che diventa significativamente più alto nell’area-euro.  Probabilmente questa crisi è più profonda del 2008 e 2011, ma non ha la stessa «capacità» di modificare il contenuto del Pil (reddito). Questa non combina crisi da domanda ed eccesso di capacità produttiva, semmai si presenta come crisi dell’offerta che prima o poi potrebbe diventare una crisi da domanda se non compensiamo la perdita di reddito privato con un equivalente debito pubblico.

Tanto più sarà profondo il debito pubblico, tanto più la forbice tra reddito perso e reddito potenziale si riduce. L’Europa non ha compreso che l’intervento straordinario non è un modo elegante per diluire i propri e altrui debiti, piuttosto è l’unico modo per continuare a immaginare un reddito coerente con quanto si aveva prima della crisi. Detta più brutalmente, l’Europa continua a implementare strumenti a debito, anche il fondo europeo lo è, perché l’andamento a V della crisi è considerato come una perdita di reddito una-tantum.

Purtroppo è l’alfa e l’omega della burocrazia europea, figlia di una pigrizia intellettuale che non appartiene ai padri fondatori della stessa Europa. Se persino Giavazzi suggerisce dei titoli perpetui, qualcosa è cambiato e solo la tecnostruttura sembra non accorgersene. Ovviamente è un giudizio amaro, ma quel modello non è intaccato nemmeno da tanto malore, e costringe il governo italiano, spero di interpretare nel modo corretto, a chiedere un indebitamento aggiuntivo enorme, ma allo stesso tempo delinea un percorso di «normalizzazione» che prevede alti e reiterati avanzi primari (minore spesa al netto della spesa per interessi). Come afferma Pizzuti, servono misure eccezionali e tutti le implementano, financo la Bce della nuova presidente, ma non lo possiamo dire per non disturbare le coscienze.

Ma un «lombardiano» può accontentarsi di questa analisi? Da Marx sappiamo che ad ogni crisi il capitalismo si rigenera e trova nuovi e più alti equilibri. Come già detto, questa crisi non riscriverà il Dna del capitale come quella del 2008-2011, ma la distanza tra Pil potenziale e Pil corrente sarà utilizzato per riscrivere, in parte, gli equilibri tra le istituzioni del capitale (lavoro-stato-capitale-finanza). Compito di un socialista e fare in modo che lo spazio tra Pil potenziale e Pil corrente sia occupato da una istituzione (stato) coerente per consegnare alla società strumenti che questa crisi ha mostrato come necessari (essenziali).

Faccio un’altra precisazione; la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) sembra diventare il driver di un pezzo dell’intervento pubblico. Non sarà Mediobanca di Cuccia, ciò è un bene, ma almeno avremo uno strumento per condizionare le operazioni di mercato, ma accanto a Cdp è assolutamente necessaria una Banca di Interesse Nazionale. Il comportamento di alcune banche nel fornire liquidità ha rasentato lo «strozzinaggio».

Avremo poi modo di capire come governare la catena del valore dei beni essenziali, ma nel breve termine si potrebbe fare il minimo sindacale. Se la crisi è a V, non significa che il capitale non si riorganizza.