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Le polemiche possono aspettare. Le persone a bordo non più

Le polemiche possono aspettare. Le persone a bordo non più – LaPresse

Migranti Le ferite dell’anima di tutte le persone a bordo di quella nave, io le sento da qui. Nella definizione di emergenza sanitaria non bisogna mai sottovalutare l’aspetto psicologico tanto dei naufraghi, fortemente provati dalla traversata, quanto dell’equipaggio a bordo

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 20 agosto 2019

È così, in un caldo agosto italiano, che il mito del capitano si è sciolto al sole. Lui, il ministro della paura che non voglio neanche nominare, ha cominciato ad avere paura, ha riposto nell’armadio i panni del bullo per mostrare l’immagine di un uomo provato.  Un uomo che cerca in tutti i modi di ricucire il legame coi Cinque Stelle. Altro che capitano, si è rivelato solo un codardo. Uno dei tanti, insomma, che hanno paura di perdere la poltrona e il comando.

È questo, che resta all’orizzonte, oltre le spiagge e gli ombrelloni degli italiani in ferie: un uomo spaventato che non vuole ammettere la sconfitta.

Dal mio canto, se davvero – come sembra – l’esperienza del governo gialloverde dovesse volgere al termine, mi sentirei sostanzialmente sollevato al pensiero che si possa mettere la parola fine a una disavventura politica che ogni giorno mostrava segni di pericolo per la nostra democrazia.
Perché dietro una propaganda fondata sull’odio e sulla paura, quel che stava avvenendo era l’esatto opposto: si stava mettendo in pericolo il bene degli italiani, la solidità di un popolo con una storia ben radicata, l’economia, la credibilità internazionale del Paese.

C’è chi ancora mostra timore nell’ammettere che un ipotetico accordo di governo con le forze democratiche del Paese abbia il fine di cacciare il seminatore d’odio: per me non c’è obiettivo più alto della cacciata dei barbari.

Perché non serve dire che la nostra democrazia non sia in pericolo: oltre le parole, ci sono fatti ed episodi che troppo spesso hanno rievocato un ventennio che è bene rimanga invece nei libri di storia. Lui ha staccato la spina al governo del quale faceva parte per arroganza e prepotenza.

E oggi mostra la debolezza tipica dei bulli di quartiere.

Adesso dobbiamo guardare agli italiani, ai tanti in cui quella paura è stata instillata: l’Italia di questa calda estate è affollata di gente spaventata, ma che è anche organizzata, laddove invece spostando lo sguardo a sinistra si vede solo disorganizzazione.

La sinistra ha davanti a sé un lavoro importante: ritrovare la rotta, ammettere i propri errori e non soltanto perché è il suo popolo a chiederglielo, ma soprattutto per non ripeterli ancora, e ancora, e ancora. Siamo sbandati, c’è stato un allontanamento della gente dal Pd e dai partiti della sinistra e per questo ciascuno di noi deve soltanto fare mea culpa.

Dobbiamo tornare ad ascoltare la base, a confrontarci con le associazioni, a dialogare con la società civile, a riconoscerci nei percorsi dei tanti giovani che vivono la politica con passione, a sostenere i nostri amministratori locali, a valorizzare le nostre migliori risorse, smettendola di puntarci il dito contro a vicenda.

Chiudersi nelle proprie certezze ha portato a smembrare tutta la sinistra. L’obiettivo adesso non può che essere quello di ricompattarci, per salvaguardare la nostra democrazia.

Ripartendo dalla questione meridionale, dal lavoro, dalla giustizia sociale.

Ripartendo dai diritti di tutte e tutti. A cominciare dalle persone che restano al largo di Lampedusa, a bordo della Open Arms. Sono molto preoccupato per loro.
La mia preoccupazione è rivolta alle persone salvate in mare, ma anche all’equipaggio, certamente provato dai lunghi giorni di stallo.

Non mi curo delle polemiche, ma voglio ricordare a me stesso che laddove si parla di emergenza sanitaria, non bisogna commettere l’errore di limitarsi ai graffi, ai segni in superficie, alle patologie facilmente individuabili.

E le ferite dell’anima di tutte le persone a bordo di quella nave, io le sento da qui. Nella definizione di emergenza sanitaria non bisogna mai sottovalutare l’aspetto psicologico tanto dei naufraghi, fortemente provati dalla traversata, quanto dell’equipaggio a bordo. Spiace dover riconoscere che qualunque richiesta di un atto di buonsenso non abbia instillato mai un momento di ripensamento da parte del ministro, che continua a ripetere imperterrito le stesse cose. Spiace anche l’atteggiamento dell’Europa, ad essere sinceri, che malgrado gli svariati e accorati interventi di David Sassoli, non è intervenuta quanto avrebbe potuto.

Ma questo non è il tempo delle polemiche: questo resta il momento della concretezza.

Le persone a bordo della Open Arms devono scendere e subito. Le polemiche possono aspettare, la gente a bordo non più.

*Vicepresidente della Commissione Libe

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