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Le periferie bagnate con l’acqua di rose

Le periferie bagnate con l’acqua di rose

Mondi Fluttuanti La Biennale di Lione può contare anche sulla piattaforma Veduta, una sorta di laboratorio che coinvolge gli abitanti in giro per la città

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 23 settembre 2017

Lo «spazio magnetizzato» lo chiamava la brasiliana Lygia Pape, cui la Biennale di Lione tributa un omaggio-puzzle, lasciando che le sue opere e video si trasformino in una sorta di fil rouge, una guida Routard per l’avventura in posti ignoti. Quello «spazio magnetizzato» era il corpo vivo della città, racchiudeva in sé i luoghi che respirano, che creano circuiti d’attrazione insospettabili. E così, sempre attraverso le sue parole, si può definire Veduta, la piattaforma più sperimentale della manifestazione francese (affidata a Adeline Lépine), un laboratorio di pratiche condivise che dal 2007 circola insieme alla Biennale stessa, invadendo territori non sempre «guardati» dall’arte e dalla cultura e lasciando che anche i cittadini sperimentino i loro territori di vita con una attitudine diversa. Per esempio, meno fatalista e più ribelle.

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Il progetto di Thierry Boutonnier con gli abitanti

È ancora il Brasile a dare una indicazione di percorso con Rivane Neuenschwander: è lei a portare al Mac e in giro per la città – tra i banchi, in biblioteca e sui muri scrostati – la sua Bataille en valise, una poema corale dove ognuno sceglie le «parole per dirlo», utilizzando quelle di tutti i giorni ma con associazioni più ardite che le risemantizzano. Basta prelevarle dalla loro scatola e, in un gioco dadaista, appuntarle una vicina all’altra fino a farle detonare. Oppure c’è chi, come la spagnola Laura Almarcegui, da sempre interessata a interrogare i vuoti e gli intestizi urbani o paesaggistici, scava e riporta alla memoria la Vallée de la Chimie, un sito che non si può più «assaggiare» nelle peregrinazioni in città. D’altronde, la negazione del confine, dell’identità territoriale, la sua decostruzione continua è la cifra poetica dell’artista che già nel 2013, invitata a rappresentare la Spagna nel padiglione ai Giardini di Venezia, svuotò una montagna di detriti – materialiper l’edilizia – al suo interno, di fatto occludendo il passaggio e dimostrando l’esiguità e l’anacronismo del concetto di nazione nel XXI secolo.

A virare verso l’utopia è invece Thierry Boutonnier con la sua Eau de Rose, un progetto bellissimo nato già nel 2013, nel quartiere lionese di Mermoz. Invitando gli abitanti a prendere le rose di Damasco, piantare le loro radici, coltivarle, farle crescere, distillarle per tirarne fuori l’essenza (il profumo che accarezza i sogni e cancella la puzza della realtà quando è troppo grigia e pesante) Boutonnier ha diffuso una pratica che nel 2017 è pronta per essere esportata in altre zone urbane, attraverso il volontariato di chi già ha partecipato alla creazione di quel bene comune. Una fragranza che diventa sconfinata. Odori certo, ma anche l’udito declinato con toni proustiani: è quello che affiora con le fiabe in movimento di Lee Mingwei.

Fra i dreamers di Veduta c’è anche Shimabuku che ha scelto come luogo d’azione il Grand Parc Miribel-Jonage. È qui che, non senza una folata di ironia, fa volare mucche in forma di aquilone, invertendo le leggi fisiche e rimescolando il paesaggio della campagna francese (Let’s Make Cows Fly), trasportandolo sopra le nostre teste: adesso sono le «vacche a guardarci dall’alto», dice l’artista. Lui, che ama rovesciare il quotidiano in scenografie dell’assurdo, è quel giapponese malinconico e ludico che alla Biennale in Laguna regalò montagne di neve alle scimmie del suo paese trasferite in Texas, per alleviare il senso di straniamento dovuto alla perdita dell’habitat consueto, fabbricando uno spaesamento – per chi osserva ed è della specie umana – ancora più potente.

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