Alias

Le parole scritte sull’acqua

Le parole scritte sull’acqua«Water Double» di Roni Horn

Mostre Roni Horn alla Fondazione Beyeler di Basilea, a cura di Theodora Vischer, visitabile fino al 1 gennaio 2017

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 26 novembre 2016

L’instabilità dell’acqua e insieme la sua trasparenza che però, paradossalmente, inghiotte immagini, restituendo solo un riflesso. L’increspatura del tempo sui volti che non si riconoscono più e, una volta messi a confronto, fanno deragliare lo sguardo. Eppure, la prima impressione di non somiglianza si traduce ben presto in memoria: basta cogliere un dettaglio rivelatorio e ogni cosa torna al suo posto. E poi ci sono le parole, quelle che segnano una mappa concettuale lì dove i gorghi del fiume trascinano via tutto, lasciando bizzarre tracce fra le onde: sono costellazioni di frasi poetiche, incipit letterari, reminiscenze private.

Roni Horn_aka_subgroup_II-C_170x300mm
Poi, ci sono i regali classificati in 67 fotografie e accumulati negli anni che, posti in sequenza sul muro bianco, finiscono per raccontare una storia inquietante, qualcosa di incompiuto, non suscitando nessuna nostalgia. Doni che il tempo trascorso riconsegna sotto forma di algide immagini, incerte presenze private del loro contesto. Non trovano più appigli identitari e rischiano metamorfosi inaspettate, lasciando svanire la loro funzione documentaria. L’oggetto più vecchio risale al 1974, l’ultimo al 2015. Tutti sono riflessi di un possibile autoritratto.

Roni Horn (classe 1955) è un’artista sorprendente. Nella sua stessa vita ha fatto scelte che destano stupore: come quel suo abbandonarsi alla natura selvaggia dell’Islanda, lei americana caduta sotto incantesimo fra i ghiacci, i geyser e la solitudine del nord («per me, quell’isola è come uno studio all’aria aperta», dice). L’Islanda è un luogo immaginario oltre che realissimo, il territorio dove poter coltivare la distanza e la perdita.

Roni Horn_Or7_320x400mm
La Fondation Beyeler di Basilea dedica a Roni Horn una grande mostra (visitabile fino al 1 gennaio 2017), a cura di Theodora Vischer. Una rassegna che si snoda lungo sei sale del museo fino a quando interrompe il suo ritmo, incontrando i monumenti eistenziali di Louise Bourgeois e i fantasmi di Giacometti.
Se alle fotografie e alle sculture l’artista affida un dialogo serrato con il pubblico, al disegno invece viene richiesto di chiudere quella spinta centrifuga per sondare un mondo intimo. Creare architetture interiori, libere da strutture preordinate, agglomerati di forme che sprigionano immagini mentali diviene così un compito primario. «È il mio linguaggio originario», sostiene Roni Horn. Disegna con i pigmenti, su fogli di carta monumentali, inseguendo profili organici, ingannando gli occhi con percorsi intricati, gli stessi che agitano il nostro inconscio.

In mostra c’è anche la serie del 1999 Still Water, omaggio al mistero dell’acqua e allo scorrere di un fiume come il Tamigi, la cui superficie mobile diventa una specie di taccuino dove prendono appunti in modo disordinato i poeti. Qui i ricordi s’impuntano fra la schiuma, le storie si mescolano e sono narrate senza sosta. Nell’acqua s’intravede Shakespeare, Emily Dickinson, William Faulker, scivolano i pensieri guardando in giù dagli argini, sporgendosi dal parapetto, just watch. E poi, scorre il ciclo emotivo dell’acqua: la intuiamo preoccupata, a disagio e insieme calma, oppure folle e languida.

Quanto è vivente e frenetica l’acqua di questa intensa opera di Horn, altrettanto ferma, immota, rappresa in una morte apparente è quella che viene «mimata» dal vetro nell’installazione Water Double. Enormi bicchieri cilindrici (dal peso di cinque tonnellate l’uno), di un chiarore abbagliante, che si trasformano in superfici specchianti. Sono quasi degli stagni ghiacciati in cui il tempo si è cristallizzato. Ogni visitatore, muovendosi nello spazio intorno a quei vasi enigmatici, emana raggi di luce differenti e provoca la mutazione interna della scultura. «Sono convinta che la trasparenza nutra in sé sempre un inganno», avverte l’artista.

 

SCHEDA

Nel 2017 la Fondation Beyeler di Basilea compirà vent’anni. Tanti ne sono passati, infatti, da quando – era il 1997 – quel gioiello di museo privato, immerso nella natura, vide la luce al confine con la Germania, nel comune di Riehen, grazie a un architetto come Renzo Piano e alla «visione» di Hildy ed Ernst Beyeler, la coppia di galleristi che ha dedicato la propria vita all’arte, mettendo su una collezione imponente con 188 opere di artisti – del calibro di Cézanne, Picasso, Giacometti, Klee, Matisse, Rothko, solo per citarne alcuni. Adesso, è ora di bilanci e la Fondazione rilancia: ha chiamato lo svizzero Peter Zumthor (vincitore del Pritzker nel 2009) a inventare nuovi spazi per contenere la raccolta – cresciuta fino a raggiungere le trecento opere – e per ampliare gli spazi dedicati alle mostre temporanee. Le conosceremo tutte quelle opere, grazie alla pubblicazione a breve del catalogo online, cui seguirà un volume cartaceo che servirà a fare ordine e, soprattutto, a raccontare la storia di ogni acquisto, a volte con la voce stessa dei protagonisti. Fra le novità dell’anno nuovo, oltre al fitto calendario affollato di eventi e mostre, c’è anche il tentativo di accogliere il maggior numero possibile di giovani: per gli under 25 il museo sarà gratuito fino allo scadere del 2017 e, sempre per le ultime generazioni, è prevista un’espansione del programma Young Art Club. E le esposizioni? Una rassegna narrerà le «origini», ricostruendo la prima mostra con la collezione Beyeler (con «puntate» che intrecciano gli attori in scena, artisti, collezione e collezionisti), mentre a fine gennaio aprirà i giochi un master come Claude Monet. Non sarà la solita carrellata di quadri impressionisti, ma un focus sull’idea di riflesso srotolato in cinquanta opere. A maggio, sarà la volta di Wolfgang Tillmans: il percorso si concentrerà sullo studio, il luogo del processo dove le immagini perndono forma. A ottobre arriverà Paul Klee, uno degli artisti-ossessione della famiglia Beyeler (cento dipinti, di cui venti di proprietà). A essere indagato sarà il pittore nella sua ricerca sull’astrazione. Infine, fuori dalla Fondazione, una produzione eccentrica: il brasiliano Ernesto Neto farà un’installazione site specific alla stazione di Zurigo. Non finisce qui: anche l’ormai gettonatissimo Tino Sehgal sta preparando un progetto a sorpresa.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento