ExtraTerrestre

Le parole per dirlo, sono scontri non incidenti

Come dentro la classica ruota del criceto siamo costretti periodicamente a ripetere alcune semplici indicazioni lessicali per raccontare dal nostro punto di vista di persone in bicicletta qual sia la […]

Pubblicato più di un anno faEdizione del 20 luglio 2023

Come dentro la classica ruota del criceto siamo costretti periodicamente a ripetere alcune semplici indicazioni lessicali per raccontare dal nostro punto di vista di persone in bicicletta qual sia la cruda realtà delle strade italiane. I risultati peraltro sono miseri perché la narrazione maggioritaria di quella che noi percepiamo come violenza stradale e la quasi totalità dei media tendono a minimizzare rimuovendo l’elemento umano nella responsabilità degli scontri e favorendo inoltre l’idea di una causalità, terribile ma pur sempre aleatoria, negli impatti derivanti dalla veicolarità.

E quindi ricominciamo, su. Ripetete con me: se un evento è ciclico non è casuale ma uno stato ricorrente di cose. Quindi non bisogna parlare di «incidenti» ma di «scontri». Incidente, accidente, oh mamma mia che caso, guarda tu. Ecco, cominciamo a levarci dalla testa che morire in strada per impatti derivanti dall’uso distorto dei mezzi stradali sia incidentale: non lo è. Dice: «Vabbè ma lo scrive lui, si sa che ce l’ha con le macchine» (sottotesto: «Ci vuole far tornare al calesse, ’sto luddista»). Ci sto e mi prendo la mia parte di responsabilità. Però giusto martedì scorso è stato presentato uno studio della Lumsa, l’università romana di ispirazione cattolica, dal titolo L’analisi spazio-temporale degli incidenti stradali di Roma: determinazione delle componenti cicliche e dell’effetto di eccitazione, coordinato da Antonello Maruotti, ordinario di Statistica, e realizzata da Pierfrancesco Alaimo Di Loro (ricercatore Lumsa) e Marco Mingione (ricercatore Università degli Studi Roma Tre). Determinazione delle componenti cicliche: a mia memoria è la prima volta che in un papiello scientifico emerge quello che tra gli attivisti di una mobilità moderna è un fatto di assoluta evidenza. Ma si sa, noi siamo dei fricchettoni pauperisti e vediamo tutto sotto «le lenti distorte dell’Ideologia» (pensiero diffuso soprattutto a destra). In estrema sintesi lo studio rivela che a Roma ci sono tre «incidenti» – aridaje – l’ora, un morto ogni tre giorni, due feriti l’ora. Tra il 2019 e il 2021 gli incidenti su tutto il territorio capitolino sono stati 77.483 di cui 28.499 con almeno un ferito o un morto (rispettivamente 35.748 e 311), per una media annua di 25.828 sinistri di cui 9.500 con almeno un ferito o un morto (rispettivamente 11.916 e 104). Il rischio più elevato è nelle ore centrali della giornata (7.00-19.00), con picchi stimati dalle 8.00 alle 10.00 e dalle 15.30 alle 17.30. Notare la concomitanza con gli orari legati al lavoro, e mandare un pensiero diciamo critico verso chi non vuole lo smart working, o lavoro da remoto, per alimentare l’economia della pausa pranzo è per me un portato sussidiario che non deve distogliere dal punto nodale: spostarsi in città come facciamo dagli anni ’60 è letale. Luca Valdiserri, il padre di Francesco ucciso da una ragazza in macchina mentre era sul marciapiede, sta conducendo da allora una battaglia per riallineare le parole alla realtà. Fortunatamente scrive per il Corriere della Sera e la sua voce è supportata dal maggior quotidiano italiano, qualcosa si comincia a intravedere nella narrazione collettiva ma ancora troppo lentamente. Il nostro dovere di adulti consapevoli è dunque di continuare a svelare il re nudo

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