Il tempo è forma, condizione e struttura del nostro stesso vivere, dell’abitare il mondo, del muoverci tra i luoghi. Vita, dimora e movimento che assumono spesso dei tratti drammatici, come se un’ombra li avvolgesse, come se ci sentissimo e fossimo esclusi da ciò che sentiamo come Heimat, parola tedesca che indica il luogo familiare, l’origine, la casa.

FILOSOFIA E LETTERATURA costituiscono tra i modi più profondi per indagare questo nostro abitare, mantenerlo pulito, renderlo forte rispetto alle intemperie che inevitabilmente si infrangono sul vivere.
È di questa potenza della parola letteraria e teoretica che si occupa Pio Colonnello in un libro dal titolo forse complesso – Sinestesie e anamorfosi. Tra filosofia e letteratura (Mimesis, pp. 150, euro 12) – ma dai contenuti chiarissimi e coinvolgenti. Le sinestesie sono mescolanze di sensi che tra loro non potrebbero di norma accadere – un luogo muto di luce, una solitudine sonora -; l’anamorfosi è «una deformazione prospettica in base a cui un’immagine, proiettata in modo distorto su un piano, è resa riconoscibile solo se rimirata da una determinata posizione». Concepite e analizzate insieme esse diventano tempo, spaesamento, labirinto.
Il tempo che è anche la potenza dell’istante tra il già e il non ancora, da Colonnello analizzato nelle opere di numerosi autori, da Borges a Husserl, da Montale a Heidegger, da Dostoevskij a Ortega y Gasset.

LO SPAESAMENTO è un sentimento verso la vita fatto di timore ma anche di venerazione, di potenza e di bellezza, di una misura che ci oltrepassa ma proprio per questo ci avvolge e ci affascina. Giustamente l’autore ricorda che tutto questo è già racchiuso nell’«espressione sofoclea to deinon, presente nel Coro dell’Antigone» di Sofocle.
Il labirinto è una struttura rizomatica e sempre cangiante degli eventi, così ben raffigurata nel Giardino dai sentieri che si biforcano di Borges e in tutto il cammino della filosofia, in particolare della metafisica, la cui tonalità è ben presente nell’opera di Montale. Colonnello offre un’appassionante lettura di A Liuba che parte; da essa emerge ancora una volta «la tematizzazione della strutturale estraneità dell’uomo contemporaneo al mondo che lo circonda, elaborata peculiarmente dal pensiero esistenziale, la Heimatlosigkeit, l’’assenza di patria’: venuta meno la stabile terraferma dell’ontologia tradizionale, non resterebbero che il riconoscimento dello ’spaesamento’ come modo originario e fondamentale di ’essere-nel-mondo’».
Sul versante propriamente teoretico, al centro dell’indagine sta il pensiero di Husserl, anch’esso plurale e labirintico. Per questo filosofo il flusso del tempo è dato da tre principali elementi: la coscienza che è essa stessa un flusso che scorre senza posa, l’oggetto temporale interiore (Husserl lo chiama «immanente») che abita la coscienza, l’oggetto temporale esterno («trascendente»). Dalla ricchezza di queste pagine, indagini, parole si stagliano due fondamentali consapevolezze.

LA PRIMA è che lo sguardo umano sul mondo non è mai neutro, oggettivo, freddo ma è sempre costituito dai primi suoni che abbiamo ascoltato, dai luoghi dove abbiamo cominciato a camminare, dalle verità che ci sono state trasmesse. Da tutto ciò, insomma che Heidegger chiama esserci e Ortega y Gasset circostanza. A proposito di quest’ultimo, infatti, si ricorda che «la percezione umana è una percezione culturale» e non semplicemente visiva.
La seconda consapevolezza è la pietas della necessità, la benedizione del tempo, condizione di ogni raggiungibile e raggiunta serenità mediante «la riconciliazione, il rinnovato accordo dell’uomo con il suo proprio destino».
Il volume si chiude con una lettera indirizzata dal poeta preraffaellita Dante Gabriel Rossetti alla sua amante Jane Morris, una missiva mai scritta e però del tutto verosimile. Perché Rossetti? Perché è stato «un artista che ha operato nella persuasione che poesia e pittura alludano, sinergicamente, a sfere sensoriali diverse, in quanto forme analogiche, sinestetiche, anamorfiche di linguaggio». Esattamente come fa questo libro nel coniugare a fondo la parola filosofica e quella letteraria senza sacrificare nessuna delle due. Un esito raro.