Le parole di chi ha il potere
Incontri Daria Deflorian e Antonio Tagliarini portano in scena alla Triennale «Chi ha ucciso mio padre»
Incontri Daria Deflorian e Antonio Tagliarini portano in scena alla Triennale «Chi ha ucciso mio padre»
Scavare alle origini del proprio dolore per scoprire un dolore ulteriore, individuale e sociale allo stesso tempo. È il percorso autobiografico che lo scrittore Édouard Louis, giovane talento francese, ha affidato al testo Chi ha ucciso mio padre. Il disprezzo provato dalla figura genitoriale nei confronti del figlio e della sua omosessualità diventano materia di genealogia: qual è la causa della violenza, del rancore, della vanagloria ostentate dalle classi subalterne? Secondo Louis è la mancanza di possibilità, di cui sono responsabili individui che hanno un nome e un cognome. Senza cancellare le colpe del padre, la storia della politica francese degli ultimi trent’anni si intreccia con il suo corpo, con le sue ferite. «Édouard ha una conoscenza profonda di quanto il contesto sociale condizioni le vite individuali, un tema che ci è sempre interessato» racconta Daria Deflorian. Lei e Antonio Tagliarini curano per la prima volta la regia di un testo di cui non sono né gli autori né gli interpreti. Il monologo è affidato all’attore Francesco Alberici ed è in replica al Festival FOG di Triennale Milano da stasera a domenica. La conversazione con Deflorian è stata l’occasione anche per un primo confronto sui lavori del prossimo futuro, ispirati al film Ginger e Fred di Federico Fellini.
«Chi ha ucciso mio padre» è il primo testo non composto da voi che mettete in scena. Perché lo avete scelto?
Abbiamo in comune con Édouard Louis un rapporto con la biografia che tenta di mascherare il meno possibile il vissuto, a cui si aggiunge la conoscenza dell’opera di Annie Ernaux, una guida tanto per lui che per noi. Le sue competenze e il suo attivismo costituiscono la forza della sua gioventù, ed è veramente bello per noi essere a contatto con tutto ciò.
Le parole di chi ha il potere generano effetti estremamente concreti sul corpo del padre del protagonista. Nominare i responsabili può essere in questo caso un antidoto all’autocolpevolizzazione?
Ogni essere umano rimane responsabile delle proprie azioni, ma ci troviamo in una società che vive di continui slogan positivi come «yes we can», come se tutto fosse possibile per chi si dà da fare, addossando quindi la colpa del fallimento unicamente all’individuo. Questo meccanismo va decisamente smascherato, è un enorme tranello: ci sono condizioni che permettono alle vite di realizzarsi e condizioni che non lo permettono. Bisogna evidenziare che le differenze di classe sono ancora ben presenti. È forte e contraddittorio il fatto che, nonostante la descrizione di un pessimo padre, Louis svela i passaggi tramite i quali quest’ultimo si è trovato intrappolato nelle proprie ignoranze.
Il dialogo tra generazioni è un tema che indagate da tempo, in questo caso lo ritroviamo nel confronto del protagonista con il padre assente ma anche nel vostro rapporto con un autore molto giovane.
Il testo è vivo e non didascalico perché non c’è semplicemente il recupero di una relazione ma c’è conflitto, rabbia, dolore. C’è una distanza incolmabile ma allo stesso tempo un ribaltamento importante, ad un certo punto si dice: «Sono i figli che cambiano i genitori e non viceversa». Per noi è una frase fondamentale, anche per la relazione con Francesco Alberici sulla scena: volevamo cogliere questo ribaltamento come un’opportunità, che permettesse la comprensione pur con il permanere di alcune contraddizioni. Il personaggio è arrabbiato con il padre ma prova anche un amore profondo per lui, che gli permette di ridare dignità alla sua vita agli occhi di noi spettatori, per farci amare un uomo poco amabile. È un dialogo difficile, non conciliato, ma comunque possibile.
Al Festival di Santarcangelo presenterete «Sovrimpressioni, primo di tre lavori ispirati dal film «Ginger e Fred» di Fellini. Su cosa si interrogheranno?
La pandemia ha rafforzato il nostro bisogno di dedicare una ballata agli artisti, alla loro importanza nel mondo e non mi riferisco ai grandi nomi, al contrario. Pippo e Amelia sono due artisti qualunque, Fellini è stato bravissimo ad incarnare in questa coppia così démodé tutta la forza della vocazione e le contraddizioni nei confronti del mercato. Quest’ultime negli anni ’80 si potevano oggettivare in un programma televisivo commerciale, noi pensiamo che ormai quella dimensione l’abbiamo interiorizzata: il mercato siamo noi, ci vendiamo da soli. Come avere, oggi, la purezza di Pippo e Amelia? Il filosofo Byung-chul Han scrive che non avere un nemico esterno rende la battaglia molto più difficile. Siamo diventati i datori di lavoro di noi stessi, per cui lavorare di domenica o a mezzanotte è diventato più semplice. Questo non toglie il massacro anzi, lo accentua. Nel film ad un certo punto arriva un blackout, le luci si spengono e c’è il momento di maggiore intimità tre le due figure. Sento che l’interruzione richiama quella della pandemia, ci sono molte riflessioni sulla necessità di rallentare e di spegnere un po’ le luci. Sovrimpressioni vedrà di nuovo me e Antonio Tagliarini da soli in scena dopo diversi anni e si concentrerà sulla questione dell’invecchiamento. Il secondo lavoro invece sarà un film, per noi è qualcosa di nuovo e siamo felici che Jacopo Quadri e Greta De Lazzaris ci accompagnino in questa avventura. Il video in scena non fa parte della nostra poetica ma volevamo scavare nella relazione tra cinema e teatro, raccontando il nostro percorso tra vita e creazione.
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