Cultura

Le pagine vietate della narrativa libica

Le pagine vietate della narrativa libica

Censura Venticinque tra autori e curatori dell’antologia «Sun over closed windows» sono vittime di attacchi e minacce di morte su media nazionali e social network, perché la raccolta contiene brani risalenti alla rivoluzione del 2011

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 7 settembre 2017

Nel 1988 lo scrittore indiano Salman Rushdie veniva condannato a morte con una fatwa emessa dall’ayatollah Khomeini per il contenuto del suo libro più celebre, I versi satanici. Dopo qualche tempo, veniva posta una taglia sulla sua testa, dando il via a un inasprimento degli attacchi che avranno come bersaglio anche i traduttori dell’opera: il giapponese Hitoshi Igarashi verrà ucciso, l’italiano Ettore Capriolo ferito.
A DISTANZA di quasi 30 anni, la violenza verbale riesce a essere uno strumento di censura altrettanto efficace, grazie al potere della rete: nel 2017, in Libia, venticinque tra autori e curatori dell’antologia Sun over closed windows sono vittime di attacchi e minacce di morte su media nazionali e social network. Il libro incriminato – edito dalla londinese Darf Publishers con il British Council e la Arete Foundation – è una raccolta di brani narrativi risalenti alla rivoluzione del 2011. Eppure, già nel 2012, anno della pubblicazione, il volume era stato sottoposto a revisione preventiva da parte dei suoi curatori Khaled Mattawa e Laila Moghrabi, prima di essere presentato alla Fiera Internazionale del Libro del Cairo.

Lo scorso 24 agosto, poi, il volume è stato presentato a Zawiya, cittadina libica iper conservatrice dove, a detta di alcuni «non vorresti mai farti vedere con un libro in mano». Dopo aver arrestato l’organizzatore dell’evento (scarcerato l’indomani) e ordinato la chiusura della biblioteca in cui si teneva il simposio, le milizie libiche hanno predisposto degli interrogatori per i partecipanti all’evento.

LA PIETRA DELLO SCANDALO parrebbe essere uno dei testi contenuti nell’antologia, un estratto dal romanzo Kashan di Ahmad al-Bokhari, che racconta – in un arabo colloquiale e colorito – i patemi d’amore di un gruppo di giovani libici innamorati della stessa ragazza. La voce impudica e triviale è quella di figlio della strada che nulla lascia all’immaginazione del lettore. Un’operazione di iperrealismo quella di al-Bokhari, che sceglie di raccontare la società libica con il linguaggio delle generazioni emergenti.
Definita «pericolosa per la moralità pubblica e minaccioso per l’integrità dell’Islam» a causa del contenuto del racconto, l’intera opera è stata sottoposta a censura a posteriori da parte delle autorità libiche. Molti degli attacchi online – i più crudeli – erano diretti alle scrittrici, tacciate di leggerezza per aver accettato che i loro lavori fossero inclusi nella stessa raccolta con quello di al-Bokhari prima di leggerne i contenuti. Queste aggressioni hanno fatto registrare, come riportato dalla blogger libica Khadeja Hussein, una presa di posizione di molte connazionali che hanno denunciato tutti i post che incitano alla violenza Il Pen International, organizzazione non governativa di scrittori impegnata a difendere i diritti degli intellettuali nel mondo, ha espresso la propria preoccupazione per la condizione degli autori, costretti a scappare e nascondersi con le proprie famiglie.

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