Le occasioni di Craxi e quelle di Renzi
«Le parole d’ordine della stabilità e della governabilità hanno assunto senso concreto come occasionalismo: su tutti i temi che di volta in volta si sono presentati sul tavolo e che […]
«Le parole d’ordine della stabilità e della governabilità hanno assunto senso concreto come occasionalismo: su tutti i temi che di volta in volta si sono presentati sul tavolo e che […]
«Le parole d’ordine della stabilità e della governabilità hanno assunto senso concreto come occasionalismo: su tutti i temi che di volta in volta si sono presentati sul tavolo e che richiedevano delle scelte, nel susseguirsi delle situazioni decisionali, nelle diverse emergenze il problema di Craxi è stato quello di mantenere l’iniziativa, di cogliere le occasioni» (“Lezioni di occasionalismo” in C. Donolo e F. Fichera, Le vie dell’innovazione, Feltrinelli 1988).
Le parole chiave per intendere il renzismo alla luce dei precedenti Craxi e Berlusconi sono qui presentate in corsivo: occasionalismo, come abilità nel cogliere il tempo favorevole e di accelerare l’occasione giusta, sacrificando a questa postura opportunistica (in senso tecnico) ogni coerenza personale o programmatica. L’occasionalismo è spinto da una forte ambizione personale intesa e giustificata come medium di obiettivi ambiziosi. Questi possono essere raggiunti premendo sugli elementi di rottura: accelerazione, velocizzazione dei processi politici (che oggi poi sono in primo luogo comunicativi o di politics). L’occasione può essere aleatoria o anche in parte costruita, in ogni caso deve spiazzare vecchie dicotomie come destra/sinistra, pubblico/privato, ed anche consenso e programma, appunto la semantica dei rituali della vecchia politica progressista.
Nelle condizioni attuali delle democrazia di massa ormai entropiche la probabilità di successo del seize the time è legata a un accurato o anche squilibrato dosaggio di populismo comunicativo accattivante (oggi il “bravo ragazzo” contro la durezza caratteriale di Craxi) che per logica sua fa appello a tutti e non definisce niente in termini di contenuti programmatici. Va detto che il suo populismo ha dei toni “popolari” (Renzi proviene da lì) che si differenziano nettamente dal populismo aggressivo, veramente antipolitico, di Grillo.
Il renzismo al momento è più un potenziale di innovazione che un esito acquisito, ci vuole comunque tempo; è il tentativo di ricompattare un variegato mondo di frustrazione e di aspettative, socialmente eterogeneo, che vuole Renzi pur di uscire dalla palude e dalla depressione anche psichica. Egli ha bisogno del consenso dal basso, che deve contendere principalmente ai grillini, e della formazione dall’alto di una coalizione di poteri forti che lo sostenga almeno come ipotesi di transizione. Ma mentre Craxi ed anche Berlusconi erano unici nel loro genere, oggi Renzi deve vedersela con competitors “affini” (almeno per qualche aspetto importante): l’eterno Berlusconi da lui stesso riesumato e da Grillo. Dall’occasione ai fatti: un percorso minato.
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