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Le numerose risorse dell’infanzia

Georges SimenonGeorges Simenon

Frammenti Quando parla d’infanzia, si direbbe che Simenon non riesca a dimenticare la propria. Il protagonista di "Malempin" parla in prima persona, e anche questo fa pensare che in lui Simenon metta anche qualcosa di sé

Pubblicato circa 16 ore faEdizione del 19 ottobre 2024

Rileggo Malempin di Georges Simenon, appena riproposto da Adelphi, e mi emoziono come la prima volta per la perfetta misura con cui il grande belga evoca un’infanzia, in cui si ha l’impressione che abbia trasfuso molto della propria.

E forse al meglio, ché la sua infanzia non ha avuto molti momenti felici, con una madre che ha continuato, sempre, a preferirgli suo fratello, un «malamente».

Ci sono altri romanzi di Simenon (uno in particolare formidabile: Piccolo santo) che hanno narrato l’infanzia, e altri in cui in qualche modo l’infanzia svolge un ruolo importante, anche se in secondo piano. Solo Graham Greene – un autore che ha qualche punto di contatto con Simenon, entrambi sostanzialmente cattolici, Simenon per formazione e Greene per scelta – che ha raggiunto in Idolo infranto, un breve romanzo che andrebbe riletto, e che nacque come sceneggiatura cinematografica per un film di Carol Reed, il regista di Il terzo uomo –, una rappresentazione dell’infanzia, nei suoi turbamenti e sentimenti, inquietante e convincente.

Quando parla d’infanzia, si direbbe che Simenon non riesca a dimenticare la propria. Il protagonista di Malempin parla in prima persona, e anche questo fa pensare che in lui Simenon metta anche qualcosa di sé.

Ma non si tratta qui di recensire questo bel romanzo, ma di cogliere l’occasione per lamentare l’assenza dell’infanzia nella prevalente letteratura italiana di questi anni, piuttosto interessata all’adolescenza e all’età adulta e perfino in imbarazzo nello scrutare nel passato dell’autore, nei suoi anni di prima formazione, e ancora più in imbarazzo nel tentativo di raccontare l’infanzia di oggi, studiandola dentro il nostro contesto. E mi sembra un paradosso che, mentre la letteratura per l’infanzia, che così spesso intende raccontare i bambini ai bambini – e in qualche modo «farsi bambina» (pur se spesso «bamboleggiando») – prospera anche in Italia in modi mai così ampi, così diluvianti, gli scrittori giovani o meno giovani – in vasta e vastissima schiera come non mai – raramente mettano l’infanzia al centro delle loro creazioni, interessati piuttosto all’adolescenza e ancora più alla gioventù, e in definitiva «senili» anche senza volerlo…

Forse perché, con un po’ di oggettività, ne vedrebbero una noiosa ripetitività.

Oggettivarsi – tenendo ben presente un contesto – non è una impresa facile, anche se di essa ci sarebbe bisogno, legando il particolare al generale, il singolo alla classe e, mettendo al centro il bambino, discutendo necessariamente il suo contesto, gli adulti che lo circondano, la famiglia e la scuola, il quartiere e la chiesa… E il mercato che dell’infanzia si occupa, più che prospero e più che corruttore.

Mi è capitato di vedere in treno sedute davanti a me una giovane mamma e una giovane zia che incitavano un bambino o una bambina di pochi mesi di vita a giocare coi colori e la musica di un giocherello elettronico. Schiavi che addestrano nuovi schiavi?

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