Sono lì, in pantaloncini e maglietta, a scena aperta, riassettano un’improbabile casa. Una donna, due bambini, tre uomini, uno dei quali, addetto alla consolle, lascia la postazione e si unisce al fervore delle pulizie domestiche sulle note rockettare lanciate ad altissimo volume, per coprire il roboante motore dell’aspirapolvere. Un quadretto familiare si mostra con la forza dissacrante, che contraddistingue il lavoro di Babilonia Teatri, anche in questo Pietre nere, un racconto prismatico per sbattere in faccia al pubblico gli esiti di una ricerca intorno al concetto di casa. E dilatarlo, ribaltarlo, disintegrarlo questo concetto. Sviluppata con i fondi Art Waves nella provincia di Asti, la ricerca ha permesso ai Babilonia di raggiungere luoghi abitati in maniera fortuita, e che diventano casa: dormitori, ospedali, strade, carceri, centri di accoglienza… per chi una casa non ce l’ha o l’ha perduta.

LUNGI DALL’ESSERE lo spazio protettivo e segreto per antonomasia la casa di Pietre nere (passato al Teatro Quarticciolo) pullula di personaggi occasionali e di oggetti di ogni tipo, finanche una betoniera prende il centro della scena, a far emergere la «Casa mondo» del progetto di ricerca. Sul palcoscenico senza quinte, né fondali agiscono Enrico Castellani, Valeria Raimondi, i loro due figli e Francesco Alberici, in una sorta di movimento perpetuo. Senza sosta, per cinquanta minuti spostano e vivificano suppellettili che diventano luoghi deputati a un’azione, una propensione, un fallimento. I dialoghi non sono previsti in questo testo acido e pieno di sentimento, costruito come un manifesto del nostro presente, dove le litanie recitate da Castellani/Raimondi riconfermano la tagliente specificità del loro teatro. Finale a sorpresa, per quanti andranno a Bologna, a Teatri di Vita (15 e 16 aprile).