«Le nostre canzoni in tour contro la disattenzione»
Musica Il 14 giugno da Agliana (Pt) parte il tour congiunto di Marina Rei e Paolo Benvegnù: «Ci siamo accorti che questo è un momento in cui anche grazie alle nuove tecnologie, la capacità di attenzione e di focalizzazione delle cose è velocissima. Poi però le cose si perdono perché ce ne sono troppe»
Musica Il 14 giugno da Agliana (Pt) parte il tour congiunto di Marina Rei e Paolo Benvegnù: «Ci siamo accorti che questo è un momento in cui anche grazie alle nuove tecnologie, la capacità di attenzione e di focalizzazione delle cose è velocissima. Poi però le cose si perdono perché ce ne sono troppe»
All’apparenza distanti dal punto di vista stilistico, Paolo Benvegnù e Marina Rei hanno deciso di imbarcarsi in un tour congiunto. D’altronde – come diceva De Moraes – «la musica è l’arte dell’incontro» e questa prima volta sul palco fra i due artisti promette sorprese. In realtà si conoscono da diverso tempo e nel corso degli anni hanno tentato qualche collaborazione, l’interprete romana ha cantato una delle più belle composizione del cantautore lombardo – Il mare verticale – e più di recente (2012) a quattro mani hanno firmato I fiori infranti, inserito nel penultimo album della cantautrice romana La conseguenza naturale dell’errore. Il debutto è fissato per il 14 giugno ad Agliana (Pt), e a seguire numerose altre date fra cui il 3 luglio Milano, il 29 Treviso, ma il calendario è ancora in fieri e avrà una coda invernale.
Un tour intitolato Canzoni contro la disattenzione, genera molta curiosità ma ha già una risposta in nuce: «Ci siamo accorti – spiega Benvegnù – che questo è un momento in cui anche grazie alle nuove tecnologie, la capacità di attenzione e di focalizzazione delle cose è velocissima. Poi però le cose si perdono perché ce ne sono troppe. E soprattutto, c’è stato uno svuotamento del senso della parola. Faccio un esempio: le parole amore e infinito non si possono buttare così, bisogna prima capirne il significato e poi usarle. Ecco nello spettacolo ci scambiamo i nostri pezzi e li alterniamo a classici della musica italiana».
«Frequentandoci – sottolinea Marina Rei – ci siamo accorti di avere un comune sentire rispetto a questa «disattenzione» musicale. Quindi abbiamo deciso di concentrarci proprio sulle canzoni. In un’epoca in cui conta più l’apparenza, questi concerti servono a noi come piccolo cambiamento quotidiano e ci auguriamo consentano a chi ci viene ad ascoltare di spostare la prospettiva di visione delle cose».
Attingere da un repertorio di classici italiani potenzialmente infinito, non è stato semplice: «(R.): È iniziato quasi per scherzo: lui prepara un comunicato di presentazione del tour che in realtà è uno scritto bellissimo ma così complicato che io scherzando gli dico, ’così dobbiamo fare Pasolini’. E mi ha preso in parola, abbiamo in scaletta Cosa sono le nuvole….». «Io poi – aggiunge Benvegnù – ho proposto un brano di Gaber, non molto noto, come Io e le cose, mentre Marina mi ha fatto scoprire Elegia di Paolo Conte, ma devo dire che alla fine è stato tutto molto semplice. Grazie anche alla bravura di Marina: in tempi in cui sento cantare usignoli, bravissimi ma usignoli (ride, ndr), sentire una voce importante e consapevole mi fa sentire onorato e privilegiato». Quello di Marina Rei è stato un percorso al contrario, dal pop e Sanremo alla canzone d’autore: «È inevitabile che crescendo si cambi, non rinnego nulla ma a un certo punto ho voluto approfondire la scrittura dei miei pezzi, e mi sono scontrata con la discografia tradizionale».
Un nondo che nell’ultimo anno si è trasformato radicalmente, le major puntano tutto sui giovani della trap: «Credo sia in atto una vera e propria rivoluzione – spiega Benvegnù – lo penso perché mi sono reso conto di non riuscire a comprenderli. Stanno in qualche modo spazzando via tutto, come nel ’58 gli urlatori fecero con la scena melodica, in fase pre boom economico, ora sta succedendo in questa fase di trasformazione. I figli vogliono uccidere i padri e farci diventare dei fantasmi. E questo un po’ mi piace (sorride ironico, ndr) perché ritengo che in un momento in cui tutto deve essere visibile o almeno virtualmente reale, essere fantasma è un grande privilegio».
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