Cultura

Le «nane bianche» e la morte delle stelle

Le «nane bianche» e la morte delle stelleLa Nebulosa Anello del Sud fotografata dal telescopio Webb (NASA, ESA, CSA, STScI) © ANSA/EPA

FESTIVAL Anticipiamo l’intervento dell’astrofisica, il 15 ad Ancona, ospite della settima edizione di «Kum!» alle 19 (sala delle Polveri della Mole Vanvitelliana

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 13 ottobre 2022

Quando una stella non produce più abbastanza energia, e non è più in grado di autosostenersi, si trasforma in una nuova realtà astronomica. Le stelle più piccole, grossomodo come il nostro Sole, diventano quietamente nane bianche, quelle più massive, invece, esplodono come spettacolari supernovae lasciando, come loro ricordo, stelle di neutroni o buchi neri.

Stiamo parlando di vere e proprie mummie di stelle, molto più piccole delle loro progenitrici delle quali conservano parte della massa insieme al campo magnetico ed all’energia rotazionale. Pur avendo massa simile a quella del Sole, le nane bianche hanno le stesse dimensioni della Terra e le stelle di neutroni sono grandi come una città, mentre i buchi neri sono entità elusive senza dimensioni ma con masse che possono essere anche molto grandi. Oltre a essere fantastici laboratori per studiare la fisica estrema, nane bianche, stelle di neutroni e buchi neri sono una straordinaria fabbrica di premi Nobel.

TRA PIÙ O MENO cinque miliardi di anni il Sole attraverserà un periodo di instabilità energetica e diventerà una gigante rossa, gonfiandosi fino ad inglobare la Terra, che difficilmente sopravvivrà a questo abbraccio mortale. Seguirà una contrazione e poi ancora una crescita, seguita da un’altra contrazione e così via. Ogni volta che si contrae, la stella perde un guscio di materia che va a formare quelle bellissime strutture che gli astronomi di altri tempi hanno chiamato, a torto, nebulose planetarie. Alla fine, il motore termonucleare all’interno della stella si spegne e la stella cade su se stessa fino a quando un effetto di fisica quantistica legato agli elettroni non la blocca. È nata una nana bianca, un nocciolo di stella caldissima che brilla all’interno dei gusci di materia che ha rilasciato. Le nebulose planetarie sono straordinariamente fotogeniche e non è un caso che la Nasa abbia deciso di dedicare alla Nebulosa ad anello una delle sue prime immagini del James Webb Space Telescope. Avere capito la fisica della nana bianca ha regalato a Subrahmanyan Chandrasekar (Chandra, per i colleghi) il premio Nobel per la fisica nel 1983, diversi decenni dopo la pubblicazione dei suoi lavori dove aveva dimostrato che le nane bianche non possono avere massa superiore ad un certo limite (pari a circa una volta e mezza la massa del Sole) che adesso chiamiamo limite di Chandrasekar.

Oggetti con massa superiore devono continuare a contrarsi per arrivare a densità spaventosamente alte. Nessuno era disposto a credere che oggetti del genere potessero esistere fino a quando, nel 1967, Jocelyn Bell, una dottoranda dell’Università di Cambridge, scoprì una sorgente di emissione radio che produceva un segnale con periodicità di poco superiore al secondo.

LA SCOPERTA di un secondo segnale con un periodo leggermente diverso, e poi quella di un terzo, aprì un nuovo campo di ricerca dedicato alla comprensione della natura estremamente regolare delle pulsazioni attribuendole alla rapida rotazione di stelle di neutroni, cioè dei nocciolini di stelle superdense, superveloci e supermagnetiche che sono ciò che rimane dopo l’esplosione di una supernova, l’evento catastrofico che segna la fine di una stella molto più massiva del nostro Sole. Scoprire una nuova classe di sorgenti celesti è un risultato da Nobel, e, nel 1974, il premio arrivò, ma andò al professore di Jocelyn, Antony Hewish che non la menzionò nemmeno. Ma il contributo di Jocelyn non è stato dimenticato. Nel 2018 in occasione del cinquantenario della pubblicazione dell’articolo di scoperta, Jocelyn Bell Burnell ha ricevuto lo Special Breakthrough prize per la fisica fondamentale. Si tratta di un premio di 3 milioni di dollari (all’incirca 3 volte l’ammontare del Nobel) sponsorizzato dal miliardario Yuri Milner.
Dimostrando grande generosità, ed altrettanto stile, Jocelyn ha donato l’intero premio per aiutare le ragazze e i rappresentanti delle minoranze ad accedere alle carriere scientifiche con l’idea che «migliorare la diversità nella fisica può portare molti risultati positivi».

MA ANCHE LE STELLE di neutroni hanno una massa limite al di sopra della quale nulla può fermare il collasso gravitazionale di una stella molto più grande del nostro Sole. Arriviamo così ai buchi neri. Elusivi corpi celesti che non emettono nulla ma che possono essere rivelati grazie al «disturbo» che danno a stelle compagne. I buchi neri sono come le magliette, esistono in diverse taglie, dalla small all’extralarge. Si va da quelli S (di 5-10 masse solari) prodotti dell’esplosione di una stella a quelli extralarge che dominano le galassie.
La nostra Via Lattea ospita un buco nero di 4 milioni di masse solari il cui studio ha fruttato il Nobel 2020 a Reinhard Genzel e Andrea Ghez. Io sono grata a questo maxi buco nero perché è grazie a lui se, finalmente, il Comitato Nobel si è accorto dell’esistenza delle astronome: Andrea Ghez, oltre ad essere la quarta donna a ricevere il Nobel per la Fisica, è la prima nel campo dell’astronomia.

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SCHEDA. Il Festival Kum! da domani a domenica ad Ancona

Kum! – la manifestazione ideata da Massimo Recalcati, la cui VII edizione si svolgerà da domani a domenica 16 ottobre alla Mole Vanvitelliana di Ancona, con il coordinamento scientifico di Federico Leoni, è dedicato alla cura e alle sue diverse pratiche. Quest’anno saranno 57 gli e le ospiti in 42 incontri indagheranno il tema del 2022, il fine vita, estendendo l’interrogazione al tramonto di mondi culturali e di assetti geopolitici; alla catastrofe climatica; all’universo, che non sfugge alla legge della vita e della morte. Per info kumfestival.it

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