Le molte vite possibili dell’immagine
FESTIVAL Nata come spazio privilegiato per il cortometraggio nel 1954, la rassegna tedesca continua a esplorare con il cinema i cambiamenti della società. Dagli Gli archivi del Národní filmovy di Praga, ai filmmaker tornati alla pellicola, ai film di Su Hui-Yu sui rapporti tra Cina e Taiwan
FESTIVAL Nata come spazio privilegiato per il cortometraggio nel 1954, la rassegna tedesca continua a esplorare con il cinema i cambiamenti della società. Dagli Gli archivi del Národní filmovy di Praga, ai filmmaker tornati alla pellicola, ai film di Su Hui-Yu sui rapporti tra Cina e Taiwan
Il Festival internazionale del cortometraggio di Oberhausen è il più longevo festival di cortometraggi. Fondatonel 1954 da Hilmar Hoffmann, regista, scrittore e attivista culturale che credeva nella «cultura per tutti», come recita il titolo di un suo libro del 1979, continua a contraddistinguersi per l’eterogeneità e la ricchezza delle proposte cinematografiche. L’obiettivo di Lars Henrik Gass, direttore del Festival dal 1997, è quello di continuare l’esplorazione iniziata da Hoffmann, per indagare attraverso il cinema i cambiamenti in atto nella società contemporanea, nei suoi aspetti linguistici e produttivi, legati alle nuove forme di fruizione e distribuzione del cinema.
L’approccio investigativo e culturale del festival, svoltosi dall’1 al 6 maggio, era evidente in tutte le sezioni, oltre alle competizioni nazionali e internazionali, che comprendevano anche una sezione dedicata ai videoclip musicali e ai cortometraggi per adolescenti. Le «Lectures» presentate nel Supermarkt der Ideen erano legate all’indagine del rapporto tra il cinema e le arti visive, nel Podium si discuteva invece di Video-on-Demand, di realtà virtuale e dei laboratori di stampa del cinema in pellicola. L’interesse per i film in pellicola tra i cineasti contemporanei è stata esplorata nella sezione «Labs», che ha raccolto una selezione di film in pellicola sperimentali realizzati dal collettivo Double Negative Collective di Montreal, dal Baltic Analog Lab di Riga, da laborberlin di Berlino, dall’australiano Nanolab e da Hand-made film lab di Seoul.
LA TENSIONE e il dialogo tra le tante possibili vite della pellicola è stato il tema della sezione «Archives», che dal 2013 analizza un aspetto non indagato degli archivi, quello del restauro e della conservazione dei film sperimentali. Il Národní filmovy archiv di Praga ha presentato un programma straordinario, che è iniziato con i film diretti da Jan Nemec e Alexander Hackenschmied negli anni ’30, vicini per suggestioni e iconografie alle Sinfonie metropolitane di Dziga Vertov, Jean Vigo, René Clair e Walter Ruttmann, per continuare con le sperimentazioni di Laterna Magika, realizzate da Alfréd Radok/Miloš Forman/Jan Rohác/Vladimír Svitácek. Progetto multidisciplinare che già all’Esposizione universale di Bruxelles nel 1958 proponeva spettacoli composti da slide show, proiezione cinematografiche, e performance dal vivo, prima di Fluxus e dell’Expanded cinema. Come scriveva Jan Grossman nel 1968: «Laterna Magika offre al regista, allo scenografo e al compositore un nuovo linguaggio che è intenso e ritmico, in grado di assorbire e visualizzare la complessità del mondo in cui viviamo». Il programma dell’archivio praghese è terminato con un’opera contemporanea di Jirí Havlícek, girato in pellicola in bianco e nero, un’elegia urbana in perfetta sintonia con le avanguardie artistiche degli anni ’30.
Il dialogo e la presenza del passato declinato nella contemporaneità è stato raccontato anche da Su Hui-Yu nella conferenza About martial law, cold war, censorship and those who were forbidden. Nelle sue opere video il filmmaker taiwanese esplora la connessione tra la cultura pop, la memoria e gli eventi della storia post-coloniale del Paese. Basandosi su materiali d’archivio e fonti cinematografiche, rimette in scena fatti realmente accaduti, legati a episodi che sono legati alla sua esperienza personale e a quella collettiva. Le istanze geopolitiche che scandiscono l’agenda politica del paese, legate al difficile rapporto con la Cina, che considera Taiwan una provincia ribelle, e con il Giappone che aveva invaso Taiwan dal 1985 al 1945, sono state rappresentate attraverso video installazioni in cui musica, arte, e pornografia restituiscono la storia sociale di Taiwan.
La sezione «Profiles» ha invece permesso di immergersi nell’immaginario e nelle pratiche di singoli cineasti. Oltre ad Alexander Sokurov, che ha tenuto una masterclass, sono state presentati i documentari poetici dell’attivista e cineasta filippina Kiri Dalena, i cortometraggi della giovane regista sperimentale giapponese Kayako Oki, vicina alle manipolazioni su pellicola di Stan Brakhage, e i ritratti documentari di Eva Stefani.
«CONDITIONAL CINEMA» ha invece presentato «Il cinema delle parole e dell’esperienza filmica» come l’ha definito il regista Mika Taanila, che cura questa sezione già da un paio d’anni. Nel corso della prima serata il pubblico è stato protagonista di un karaoke cinematografico, in cui invece di cantare si leggevano e interpretavano frammenti di film, per poi continuare nei giorni successivi con The Better Way Back to the Soil, film lettrista di Youki Hirakawa, e la proiezione di Le Camion, racconto di un film che non è stato mai realizzato, scritto da Marguerite Duras nel 1977 e narrato da lei stessa insieme a Gérard Depardieu. Conditional Cinema è alla ricerca di un dispositivo in grado di esplorare le utopie dell’arte dopo il capitalismo, nel desiderio di rispondere al declino del lavoro manuale e all’obsolescenza degli esseri umani, come ha dichiarato Mika Taanila.
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