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Le miniere feriscono il Brasile

Globalizzazione In gennaio il Brasile viene scosso dal crollo di una diga provocato dagli eccessivi scavi minerari. L’incidente, che ha ucciso 300 persone, mette in evidenza le «sporche attività» della gigantesca impresa mineraria Vale

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 25 luglio 2019

A pochi mesi dalla vittoria elettorale del presidente Jair Bolsonaro, il Brasile viene scosso da un incidente nella zona mineraria del Mina Gerais, dove il 25 gennaio 2019 il crollo della diga a coda di Bramadinho distrusse gli edifici amministrativi della miniera Córrego do Feijão rilasciando 13 milioni di metri cubi di fango tossico, e causando la morte di oltre 300 persone.

L’incidente avviene appena tre giorni dopo il primo discorso dell’appena eletto presidente Jair Bolsonaro al World Economic Forum di Davos, in Svizzera, dove aveva affermato che il Brasile è il paese «che conserva maggiormente l’ambiente nel mondo». Una delle sue promesse elettorali fu proprio quella di facilitare le attività minerarie, affermando che «la salvaguardia dell’ambiente è un ostacolo allo sviluppo», e che è disposto «a sacrificarla per dare spazio a coltivazioni e favorire l’attività mineraria e la produzione di legname».

L’INCIDENTE DEL MINAS GERAIS mette in evidenza, per contro, quali siano le conseguenze dell’eccessiva e incontrollata attività mineraria. A parlarcene è un gruppo di accademici dell’Università Autonoma di Barcellona (UAB), che in seguito allo scandalo ha lanciato una mappa per segnalare le sporche attività della impresa mineraria Vale. L’azienda già nel 2015 aveva causato un incidente simile nella zona di Mariana, giusto 125 chilometri da Bramadinho, registrando 19 vittime. La mappa intitolata Esto no Vale! Isso não Vale! (https://ejatlas.org/featured/envconflictsvale) fa parte dell’Atlante della giustizia ambientale (EnvJustice/EJAtlas: Atlas of Enviromental Justice), una piattaforma interattiva che cataloga migliaia di storie di resistenza locali contro progetti nocivi, e raccoglie schede descrittive delle più emblematiche vertenze ambientali a livello mondiale.

«HO VISSUTO QUI PER TUTTA LA MIA VITA e ricordo le prime pietre di ferro che vennero raccolte… i mie bisnonni dicevano che questa terra apparteneva a noi ma che non aveva alcun valore, in quanto era tutto di pietra» dice Carmen Vicentina Barbosa di Corrego do Feijia, in un video girato dal Movimento dos Atingidos por Barragens (MAB). Un movimento popolare, autonomo, di massa che cerca di organizzare l’intera popolazione minacciata o colpita da dighe, soprattutto dighe idroelettriche in Brasile.

La compagnia Vale venne fondata durante la dittatura di Getulio Vagas, per favorire l’industrializzazione nel paese. Dagli anni ’80 l’azienda ha esteso le sue operazioni nel Nord del Brasile, nello stato del Para, e oggi, secondo il sistema di Informazione Geografica di Mineração (SIGMINE), la Vale ha un numero di 1.630 concessioni minerarie solamente in Brasile che coprono un area totale di 53.977 km2 ( area equivalente alla superficie della Croazia).

A PARTE QUESTO, L’AZIENDA POSSIEDE in tutto il paese anche 160 dighe, destinate, come nel caso di Bramadinho e Mariana, a creare un bacino di raccolta dei reflui delle attività minerarie. Il dato preoccupante è che secondo l’Agência Nacional de Mineração (ANM) 65 di queste sono identificate come ad alto rischio di danni o collasso. «Era un crimine annunciato», dice Moisés Borges, del Movimento delle Dighe colpite del Brasile (MAB). «La Vale sapeva che la diga poteva rompere e non ha fatto nulla, al contrario, la copriva», spiega il brasiliano che ha attraversato Barcellona nel suo tour internazionale di denuncia.

Secondo la mappa dell’Environmental Justice Atlas (EJAtlas), creata per localizzare le operazioni della compagnia, le operazioni della Vale hanno generato conflitti socio-ambientali in tutto il mondo. La mappa interattiva documenta fino a 30 progetti della Vale in nove diversi paesi che hanno generato conflitti sociali e ambientali, dalla Nuova Caledonia, alla Malesia, dal Perù al Cile, attraverso l’Indonesia e il Mozambico.

«ABBIAMO NOTATO NELLE OPERAZIONI di Vale un modello ripetitivo di violazioni dei diritti umani e diritti della legislazione ambientale, ma anche un sistema di impunità, poiché sembra che in nessun caso sia stato preso alcun provvedimento giudiziale», afferma Daniela del Bene, dell’ICTA dell’Università Autonoma di Barcellona, che gestisce l’EJAtlas.

Nonostante l’azienda abbia subito numerosi scandali e processi non ha mai chiuso, e lentamente dal 1997 a oggi è passata attraverso un intenso processo di maggiore privatizzazione e internalizzazione incoronato nel 2007 con cambio del nome nella forma più moderna Vale. Il primo presidente della compagnia, Roger Agnelli afferma: «Ovunque nel mondo, la parola Vale è facile, Vale significa valore, è un nome breve e facile da ricordare».

LA MAPPA DELL’EJATLAS NOTA inoltre come le vittime di questi progetti siano spesso popolazioni indigene. In Brasile la maggior parte di questi progetti si concentrano nello stato del Para, maggiormente abitata da popolazioni indigene e quilombolas (comunitá afro discendenti) che subiscono gli impatti dalle attività della transnazionale senza beneficiare di nessuno sviluppo. Nella descrizione della mappa si parla di un caso specifico, il Carajás Iron Project, un progetto di estrazione mineraria del ferro che ha contribuito alla deforestazione dell’Amazzonia. Secondo i dati dell’EjAtlas, la Vale utilizza il legno di questa regione per trasformarlo in carbone ed essere poi utilizzato dall’industria della ghisa stabilita lungo la ferrovia Carajas, costruita dalla stessa Vale.

IN QUESTA ZONA LE COMUNITA’ INDIGENE hanno iniziato a protestare contro l’inquinamento causato dall’industria della ghisa, creando un gruppo di resistenza che nel 2007 ha preso forma sotto il nome di Rede Justiça nos Trilhos (Giustizia sulla Ferrovia). Un altro progetto menzionato è quello del S11D – ossia il più grande progetto minerale di ferro al mondo, che è stato altamente criticato per il dannoso impatto ambientale sulla foresta nazionale di Carajas.

La popolazione indigena più colpita dall’attività è la comunità Xikrin, che ormai da anni si batte a fianco della Rede De Justicia Nos Trilhos per far rispettare i propri diritti sociali e ambientali. In questo caso l’azienda è stata anche accusata di acquisizioni irregolari della terra, espropri violenti e violazioni di diritti umani.

Mentre in Brasile la Vale ha consolidato la sua posizione come maggiore produttore di minerale di ferro (con oltre 350 milioni di tonnellate prodotte nel 2017), l’acquisizione della società mineraria canadese Inco Limited nel 2006 e gli investimenti in Moatize (Mozambico) dal 2004 in poi hanno consolidato la società come un importante produttore di nichel e carbone. In quest’ultima regione la compagnia ha causato danni a centinaia di piccoli contadini, che sono stati reinsediati in condizioni precarie e stanno ancora chiedendo un adeguato risarcimento. Mentre in Indonesia, le comunità indigene protestano da più di 50 anni contro la Inco Limited, ora proprietà di Vale, per ottenere l’accesso e un equo compenso per la presa delle loro terre e il loro sostentamento. Protestano anche contro l’inquinamento atmosferico e del suolo e per una risoluzione dei problemi di salute causati dall’estrazione del nichel.

IL PROGETTO ENVJUSTICE-EJATLAS mette in evidenza non solo le «sporcizie» della azienda, ma cerca di dare visibilità ai numerosi movimenti che ormai da anni stanno cercando di organizzarsi a livello globale per poter condannare con maggior forza gli impatti e le violazioni dei diritti umani causati dall’azienda e dalle attività minerarie nel mondo. Il gruppo accademico di Barcellona si unisce alle voci di protesta contro la Vale e si schiera contro le politiche anti-ambientaliste del presidente Bolsonaro, ricordando l’importanza di salvaguardare il pianeta per l’umanità tutta.

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