Alias

Le memorie dal sottosuolo di Franco Brocani

Le memorie dal sottosuolo di Franco Brocani

Underground in dvd Il lungo "Necropolis" e tre magnifici corti ora disponibili in un unico dvd per la Ripley’s Home Video

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 26 ottobre 2013

«L’unica maniera per comprendere il cinema e la figura di Franco Brocani è quella di vederne la natura essenzialmente antigenerazionale; sia rispetto al contesto cinematografico italiano dell’epoca che di quello politico. Nonostante il suo percorso sembri tra i più classici, nei risultati il suo cinema è qualcosa di unico, irripetibile, irriducibile.» Così Giulio Bursi nel libretto dell’edizione dvd di quattro film di Franco Brocani, edita dalla Ripley’s Home Video (prezzo di listino, 14,99 euro): il lungometraggio Necropolis (1970); i cortometraggi È ormai sicuro il mio ritorno a Knossos (1967), Lo specchio a forma di gabbia (1970) e La maschera del Minotauro (1971). Si tratta di una operazione importante, prodotta da una società come la Ripley – di cui val la pena ricordare fra le altre lodevoli uscite dvd, alcuni film di Chris Marker – e curata da un ricercatore di grande talento come Bursi – di cui ricordo, fra le diverse “azioni” svolte, il multidisciplinare lavoro in corso sull’opera di Aldo Tambellini (assieme a Pia Bolognesi), e l’incredibile retrospettiva The Night and the Day svolta a Vienna nel 2011, dedicata al cinema sperimentale italiano dal 1905 al 2010 (co-curatela di Federico Rossin).

Ora, parlare del cinema di Brocani (classe 1938) significherebbe iniziare un discorso lungo, non contenibile dentro lo spazio di un articolo di giornale: un discorso su un certo modo di intendere e fare cinema testimoniato in Italia. Può però essere comunque utile una sintesi in merito, e a questo punto si può ancora far riferimento a quanto scrive Bursi, in uno degli interventi del libretto dell’edizione, in relazione ai cortometraggi di Brocani presenti nel dvd – per la cronaca, titoli a loro tempo inclusi nella retrospettiva dal titolo Franco Brocani. 11 corti per la Corona, a cura dello stesso Bursi e Alessandro De Francesco, per il Lucca Film Festival del 2010: «È quindi fondamentale che questi film siano sopravvissuti e che si possano oggi mostrare: la loro visione rafforza non solo l’idea (peraltro diffusa) che il cinema di Franco Brocani sia non immediatamente sovrapponibile a tutto quello che in Italia è stato ufficialmente “indipendente” o “underground” (come sappiamo, egli non entrò mai, per scelta e convinzione, nel giro della Cooperativa Cinema Indipendente, e parlandone con lui si può capire quanto poco abbia pesato nel suo percorso quella parte di avanguardia romana e non). Il suo essere off fuori dall’off, lo rende non solo un elemento di cerniera tra diversi livelli di sperimentazione che cozzavano tra loro in quegli anni, ma anche e soprattutto uno dei pochi alieni del cinema italiano, come lo sono stati forse i soli Marco Ferreri e Pierfrancesco Bargellini.»

Cosa invece restituirebbe oggi la lezione di Brocani, attraverso i film raccolti in questa edizione? Suggeriamo: l’efficacia di una idea di cinema capace di sopravvivere ai tempi, quindi al di là della forma. Si presti per esempio attenzione alla libertà espressiva dei suoi tre corti. Se si va oltre la concatenazione tra le loro strutture anti-narrative e la raffinata textura letteraria di citazioni e riferimenti presenti, oltre una configurazione dell’immagine audiovisiva debitrice di certa pop art, per prestiti figurativi e stilizzazioni espressive (Brocani: «Questo processo è all’origine della pop art: prendi una cosa che è consolidata iconicamente o letterariamente e la riproponi in una chiave diversa»), lavori come È ormai sicuro il mio ritorno a Knossos, Lo specchio a forma di gabbia e La maschera del Minotauro possono oggi presentarsi come documenti, prove, “memorie” di un fare cinema dove l’invenzione non sembra subalterna a schematismi o generi, né tantomeno riducibile alla somma delle parti.

Si può però suggerire altro, e cioè che questo cinema – al di là delle poetiche e politiche d’autore in gioco – restituisca immagini di un certo modo di intendere il rapporto tra film e creatività “sintomatico” di una cultura visuale che ora – giocoforza – si ripresenterebbe come un qualcosa di altro, come frammento per una possibile storia delle mentalità dell’epoca: non tanto il comesi era, ma quanto – invece – il comesi vedeva. Si consideri allora Necropolis, sublimazione del lavoro dei corti. È un film pressoché impossibile da raccontare, la cui descrizione del tempo – a firma dello stesso Brocani – recita in un passaggio: «Tenendo conto dell’ideologia dei frammenti, Necropolis può considerarsi luogo dell’eccesso, in senso morale: è la città della morte perché è la città della vita, e viceversa.» Qui, la città in questione è Roma, rivisitata – per citare ancora Bursi – nel suo «mito della città eterna (città del cinema culla della cultura europea)», luogo mentale di un sovvertimento continuo del senso, dove i suoi incredibili attori-personaggi ritornano oggi “ascoltabili” alla maniera di memorie dostoevskiane provenienti da un altrove a noi prossimo: oltre l’underground di un’ arte, direttamente dal sottosuolo psichico della nostra vita sociale, come tracce occultate di un inconscio culturale con il quale ristabilire un legame che sembra andato spezzato.

È forse da questo punto di vista che si può vedere Necropolis come – davvero – un film-culto.

 

 

 

 

 

 

  

 

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento