Una musica impetuosa, strutturata e piena di poesia, impegno sociale, suonata da ventenni per un pubblico quasi sempre coetaneo. Questa, negli anni Novanta era la musica degli Aires Tango, un gruppo che in due decenni ha inciso undici album e visto i suoi componenti partire verso brillanti carriere personali.Javier Girotto (sassofoni), Alessandro Gwis (piano ed elettronica), Marco Siniscalco (basso elettrico) e Michele Rabbia (batteria e percussioni) hanno festeggiato il loro ventennale (1994-2014) con un recital antologico del loro repertorio, condito dai ricordi di Girotto e Gwis: dagli inizi scalcinati sino alla celebrazione del gruppo che a Roma, nel locale La Palma, si costruì una fama nazionale che andava al di là dei jazzfan, e che si nutriva di performance dal vivo. Per chi c’era, il luogo ed il gruppo incarnarono un particolare momento culturale, un rinnovamento nella programmazione ed una diversa prospettiva di linguaggio.
Girotto e compagni – anche se con un po’ di neve tra i capelli, come ama dire il sassofonista col suo particolare senso dell’humour – non si sono autocelebrati, preferendo offrire uno spaccato del loro vasto repertorio e mostrando, concretamente, le ragioni del successo di allora e, in fondo, di oggi. Il cofanetto della CamJazz con tutti gli album degli Aires Tango (svariati da tempo introvabili) messo in vendita per l’occasione è andato a ruba a testimoniare il credito e l’affetto che «abbracciano» il gruppo.

 
El viaje,Madres de plaza de Mayo, Il senso della vita, Escenas argentinas e Patagonia stabiliscono molte delle coordinate estetiche del gruppo. Intanto l’uso di metri e ritmi sudamericani, in particolare argentini, la patria di Girotto (nativo di Cordoba); poi la forte, esplicita memoria dei crimini della dittatura militare, evocata nei brani con spezzoni di trasmissioni radio; ancora la marcata e accorata valenza di canto dei temi; la dinamica interna ai brani che li vede mutare di colore ed atmosfera come se si trattasse di un’alba o un tramonto; gli arrangiamenti minuziosi che affidano parti tematico-solistiche al basso, incrociano piano e sassofono, affidano alla batteria-percussione di Rabbia un innovativo ruolo timbrico-ritmico.
Del jazz c’è il gusto per l’improvvisazione, del tango la passione e del Sudamerica una dimensione narrativa che va dal più crudo e drammatico realismo all’impalpabile magia. Su tutto spesso si staglia il suono acuto e dolente del soprano di Girotto che, tuttavia, non può fare a meno del fluire – ora barocco ora essenziale – del pianoforte come del pastoso incedere di un basso che è anche chitarra.

 
Ecco, allora, la dedica ai bandoneonisti come Anibal Troilo e Rubén Juárez, alla voce di Carlos Gardel. C’è spazio per evocare la follia della guerra delle Malvinas come per perdersi dietro alla melodia incantatoria di Mi niño, con Javier Girotto che quando l’ha suonata in concerto faceva cantare al pubblico la nenia infantile mischiandosi agli spettatori in un gioco che porta (quasi) tutti a riscoprirsi bambini. Come un tempo la musica di Aires Tango fa sognare e scuote la coscienza, ti avvolge e ti strapazza con quel suo viaggiare tra la pampa argentina, Buenos Aires, Roma e la periferia metropolitana