Politica

Le mani sul cinema, la conquista del Centro

Le mani sul cinema, la conquista del Centro

Si dimettono i vertici del Csc Donzelli, Capotondi e Ponti costrette all’addio dopo l’approvazione della “riforma”. Che non è un progetto alternativo, ma solo l’affermazione di una volontà di controllo

Pubblicato più di un anno faEdizione del 5 agosto 2023

Con un «grande augurio» agli allievi – «che sono un’eccellenza del nostro Paese» – Marta Donzelli si è dimessa ieri dalla presidenza del Centro Speri mentale di Cinematografia.

Con lei si sono dimesse anche le due consigliere d’amministrazione Cristiana Capotondi e Guendalina Ponti – nel Cda c’era anche Andrea Purgatori, da poco scomparso, e ricordato da Donzelli con grande affetto. Le dimissioni sono arrivate all’indomani della conversione in legge del decreto Giubileo che entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore prevede la sostituzione del consiglio di amministrazione e del comitato scientifico della scuola – nonostante il mandato di Donzelli terminasse a marzo 2025.

Nella lettera di commiato Donzelli mette in primo piano la preoccupazione per una progettualità avviata con risultati ottimi, a cominciare dai fondi ottenuti del Pnrr, parte dei quali erano stati destinati al progetto di una sala della Cineteca – con l’acquisto, la ristrutturazione e la prossima riapertura del cinema Fiamma – che avrebbe così anche a Roma creato un sistema di programmazione e divulgazione del patrimonio filmico.

«La nostra attività è stata pianificata con l’obiettivo di completare, laddove possibile, o portare al massimo grado di avanzamento entro il termine di scadenza del nostro mandato le previste progettualità che, ove pienamente realizzate, permetteranno di confrontarsi con le grandi scuole e cineteche internazionali all’insegna della modernità e dell’efficienza».

Ma i contenuti culturali o il valore di un progetto non sembrano interessare la destra al governo, preoccupata in questi mesi unicamente di attuare uno spoil system la cui veemenza è del tutto inedita cancellando ciò che considera come un inciampo alle proprie bramosie. Qui non si tratta di «nomine politiche», refrain utilizzato spesso dai vari esponenti del governo nei giorni scorsi per rispondere alle critiche, ma di utilizzare in modo spregiudicato il proprio potere al punto da impacchettare un emendamento ad hoc per eliminare i vertici di una istituzione due anni e mezzo prima della loro scadenza.

Ed è stato quasi un caso se questa manovra è divenuta un affare pubblico, coinvolgendo nelle ultime settimane in primo luogo gli studenti della Scuola, protagonisti di una battaglia con manifestazioni, sit-in, occupazioni (infine nel nuovo Cda ci sarà anche una lor rappresentanza), i docenti, centinaia di registi italiani e non, nomi prestigiosi, noti in tutto il mondo, da Luca Guadagnino a Paolo Sorrentino a Nanni Moretti, firmatari di una lettera aperta che chiedeva il ritiro immediato dell’emendamento in questione, arrivato “clandestino” nel dl Giubileo.

Promosso da quattro deputati leghisti, nei fatti rappresenta il diretto passaggio dell’istituzione al controllo della politica. Si stabilisce che oltre alla soppressione del direttore generale, il comitato scientifico a cui spetta di occuparsi della scelta didattica e dei docenti passa sotto al controllo dell’esecutivo, con le nomine delegate a quattro diversi ministeri: tre rappresentati saranno indicati dal ministero della cultura, uno a testa quelli dell’istruzione e del merito, dell’economia e delle finanze, dell’università.

Tutto ciò senza ragione alcuna, senza cioè che sia stata mai espressa nei mesi passati la benché minima valutazione – anche critica – su quanto fatto finora, sui risultati, sui progetti, sul rinnovamento di una istituzione che con questa dirigenza aveva ricominciato a svolgere un ruolo attivo, a essere presente sul territorio con rassegne e eventi di grande successo, a dialogare con registi e registe internazionali – pensiamo alla masterclass di Scorsese lo scorso giugno a Roma – a lavorare in concerto coi festival italiani e internazionali. Poco importa. L’unica risposta è che «la sinistra deve togliere i suoi artigli dalla cultura» (Igor Iezzi, Lega, primo firmatario dell’emendamento).

È una vecchia, vecchissima storia, la solita freudiana frustrazione da cui la destra sembra proprio non uscire. O forse è solo un alibi, chissà. Di certo non è un progetto, e dalle loro parti – occupazione esclusa – finora di progetti ne abbiamo visti molto pochi.

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