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Le mani dei petrostati sulla transizione energetica

La COP28 aveva tre obiettivi dichiarati: una roadmap per il phase-out delle fonti fossili; il sostegno finanziario per i paesi in via di sviluppo, l’eliminazione progressiva dei sussidi dannosi alle […]

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 21 dicembre 2023

La COP28 aveva tre obiettivi dichiarati: una roadmap per il phase-out delle fonti fossili; il sostegno finanziario per i paesi in via di sviluppo, l’eliminazione progressiva dei sussidi dannosi alle fonti fossili, con trasferimento verso sussidi utili a rinnovabili ed efficienza energetica. Ma a Dubai, tra i paesi a più alto reddito e consumo energetico pro capite, con una Presidenza della COP affidata astutamente a Sultan Al Jaber, Ministro dell’Industria degli Emirati Arabi Uniti ma anche a capo della ADNOC-Abu Dhabi National Oil Company, una delle più grandi compagnie produttrici di energie fossili al mondo, ed alla presenza di un numero mai raggiunto prima di lobbisti delle fonti fossili opportunamente chiamati a raccolta, non è stato possibile raggiungerne nessuno. La stessa ADNOC ha orgogliosamente annunciato un aumento della sua produzione di petrolio fino a 5 milioni di barili al giorno entro il 2030; anche Saudi Aramco prevede di aumentare la propria capacità di produzione di petrolio a 13 milioni di barili entro il 2027. Tutto previsto ed anticipato dall’UNEP, l’Agenzia americana della Protezione Ambientale, che nel Production Gap Report 2023, definisce il gap tra la produzione di combustibili fossili pianificata dai governi e i livelli di produzione globale coerenti con la limitazione del riscaldamento globale a 1.5°C per una «transizione energetica equa e ben gestita».

Sul tema della transizione equa, l’offensiva degli Emirati Arabi Uniti è stata completata con un impegno di 30 miliardi di dollari per il fondo d’investimento Altérra, con l’obiettivo di raggiungere almeno 250 miliardi di dollari al 2050, per gestire la transizione nel segno di una finanza capitalista e centralistica, tutt’altro che equa. Leggendo il Global Stocktake con le conclusioni della COP28, viene evidenziato un deciso passo indietro nella fuoriuscita dai combustibili fossili (phase-out), verso una più contenuta riduzione proposta nel corso dei lavori (phase –down), fino al capolavoro della formulazione finale (transitioning-away, graduale riduzione) che significa tutto e niente e rimanda senza vincoli all’intervento e la buona volontà dei singoli Stati. E’ apparso subito evidente, soprattutto in questa COP28, come la discrasia tra le monarchie del petrolio di Paesi ricchissimi ed il contesto democratico tipico delle COP non potrà mai dare risultati accettabili, ma solo vaghe indicazioni di obiettivi non misurabili né sul piano quantitativo né su quello della tempistica. La concessione di “triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare la media globale del tasso annuo di efficienza energetica entro il 2030” assume il sapore amaro di un contentino inutile, così come, entrando nello specifico, dire che occorre “accelerare gli sforzi verso la riduzione graduale dell’energia prodotta dal carbone unabated”, significa non accettare una riduzione del carbone se supportato dalla cattura e dallo stoccaggio della CO2, cioè ancora carbone a gogò con l’utilizzo di una tecnologia costosa ed ancora in fase di sperimentazione.

La realtà per l’OPEC sta nello scampato pericolo di aver ottenuto un documento finale che non menziona minimamente i mille miliardi annui di sussidi alle fonti fossili, sottratti alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica. Come non è stato approvato alcun impegno vincolante a reinvestire i profitti del fossile in tecnologie rinnovabili per accelerare la transizione, tecnologie fra le quali viene menzionato con soddisfazione anche il nucleare, ben sapendo che nucleare e rinnovabili sono in contrapposizione, teorica e pratica. Centralizzata e costosa l’una, distribuita e a costo marginale zero l’altra.

A COP28 era attesa anche un’importante decisione, aspettata da anni: il finanziamento del fondo Loss and Damage per assistere i paesi meno sviluppati nelle catastrofi climatiche; i quasi 600 milioni di dollari raccolti sono ben poca cosa visto che per mitigare effettivamente i danni climatici servirebbero 500 miliardi di dollari ogni anno. Essi rappresentano più che altro un obolo per lasciarsi una maggiore libertà nell’utilizzo nel tempo dei combustibili fossili. Insomma, i signori del petrolio hanno messo le mani sul negoziato ottenendo la possibilità di perseverare nella finanza climatica: affrontare la transizione con il freno a mano tirato ed utilizzando gli stessi strumenti finanziari e tecnologici che ci hanno condotto sull’orlo del baratro, assegna ai petrostati un ruolo fondamentale e decisivo nella transizione. Ecco il risultato di una COP da cancellare

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