Cultura

Le magnifiche pulsioni di una critica d’arte

Le magnifiche pulsioni di una critica d’arteFrancis Alÿs, «Paradox of Praxis» (1997)

Scaffale Il libro «Io mi manifesto» (sottotitolo, «Scritti militanti») di Teresa Macrì, uscito per la casa editrice Gli Ori, raccoglie gli articoli e le interviste pubblicate sul quotidiano e sul supplemento Alias, in un trentennio di rovesciamenti del sistema granitico delle mostre

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 29 giugno 2022

«Io mi manifesto è il mio Sé, le mie pulsioni, le mie cure, i miei vezzi, i miei entusiasmi, le mie incertezze e i miei enigmi», scrive Teresa Macrì nell’introduzione del saggio che inaugura la collana I limoni, diretta da Pietro Gagliano (per la casa editrice Gli Ori, pp.192, euro 18). Quanto al sottotitolo di Io mi manifesto – «Scritti militanti» – è la dichiarazione di quelle affinità elettive che trovano una perfetta corrispondenza tra ideologia e azione nelle scelte personali che hanno siglato (a partire dal 1991 con il pezzo sulla mostra londinese di Cindy Sherman), la collaborazione tra la critica d’arte e la testata il manifesto, firmando centinaia di articoli e interviste per le pagine culturali e per l’inserto Alias.
Coerenza e integrità attraversano queste scelte che sono prima di tutto l’espressione di una libertà individuale condivisa con la redazione, mai censurata e destinata alla fruizione collettiva di potenziali lettori che non necessariamente hanno familiarità con il mondo dell’arte contemporanea, i suoi linguaggi, le sue regLe ole e, indubbiamente, anche certe sue eccentricità.

CON PROFONDA CONOSCENZA della materia, brillante capacità analitica, una scrittura coinvolgente e seducente, la passione e anche una discreta dose di divertimento, Teresa Macrì si affaccia alla scena artistica internazionale osservando e ascoltando i suoi protagonisti.

LO FA A LISBONA e são Paulo, Amman, Londra, Istanbul, Venezia, Kassel, Madrid, Kaunas, Glasgow, Firenze, Berlino… e anche a Roma, dove vive e insegna Fenomenologia delle arti contemporanee all’Accademia di belle arti, luogo di incontri particolarmente significativi, come quello con Andres Serrano che nel 1997 presentava da Ugo Ferranti il ciclo fotografico A History of Sex. «Ciò che è scandaloso non è certo la sua fascinazione per il proibito ma è la potenza fisica con cui penetra nelle cose e nei corpi ritagliati senza mediazione alcuna, priva di metafore o simbolismi. Serrano si introduce nell’esistente con la stessa audacia del fuorilegge, carpisce i suoi meccanismi più granitici e li smantella. È questo suo oltrepassare i limiti che lo rende ‘ignominoso’ ed essenziale», scrive l’autrice. Quanto al geniale Sislej Xhafa è lo stesso artista ad affermare nell’intervista raccolta nel 2017 che «la sfida con me stesso è sempre presente, il white cube è un’invenzione del mercato, lo spazio è un’invenzione della libertà».

L’ELENCO È LUNGO, malgrado la ristretta selezione di scritti e prevede, oltre ai grandi artisti (da Jimmy Durham a Shirin Neshat, da Nan Goldin a Francesco Arena, da Vicente Todolí a John Waters), alcune «strane intrusioni» nella musica, nella danza, nel calcio.
Dal «calligrafo della danza contemporanea», come viene definito Merce Cunningham, alla rockstar «potenzialmente ansiogena» Björk («la principessa dei ghiacci») con quel suo «fisico a metà tra un’eroina manga e un personaggio uscito da una fiaba di Lewis Carroll, possiede un tocco sofisticato, così come la sua voce che è quasi un’interferenza alla velocità del suono», passando per David Byrne in versione fotografo (Teresa è anche il suo chaperon tra le cianfrusaglie di Porta Portese, ma questo non compare nel volume, ndr) per arrivare al mitico calciatore Bobo Vieri (la critica è tifosa dell’Inter, ndr): «Se fosse un pittore non potrebbe che giostrare in quella corrente scompaginatrice come l’Action Painting dalla gestualità impetuosa e abile nell’infrangere la tela, nella poderosa rottura degli schemi pittorici, una via di mezzo tra Jackson Pollock e Willem de Kooning che polverizzavano la tela a colpi di ducotone e di smalti e rinnovavano la pittura contemporanea (…)».

TRENT’ANNI DI PRESENZA assidua in un mondo di cui Macrì coglie il cambiamento epocale con l’istituzionalizzazione del sistema dell’arte, ma anche la sua capacità di rigenerarsi continuamente.
All’autrice non sfugge l’ascesa e poi la scomparsa di un’artista come Margherita Manzelli, così come il riconoscimento degli artisti africani e della diaspora (scivolato nella moda complice dell’esplosione del mercato e viceversa) anche grazie al contributo di un «ardito timoniere», come il compianto Okwui Enwezor «di ineguagliabile spessore intellettuale» («ma una volta, a Firenze, condì la pasta con il ketchup»).

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