Le madri delle piazze d’Italia
Mobilitazioni Si moltiplicano anche nel nostro Paese i casi in difesa dei figli sotto processo
Mobilitazioni Si moltiplicano anche nel nostro Paese i casi in difesa dei figli sotto processo
Piemonte, Sardegna, Puglia, Sicilia, Veneto, Calabria, Campania, il lockdown non ha bloccato la miriade di comitati di Mamme che già da prima del Covid si erano messi in moto un po’ ovunque: in difesa dei figli e amici dei figli perseguitati dalla giustizia, dell’ambiente sotto assedio dal più sconsiderato consumo di suolo, dei più elementari diritti sacrificati all’affarismo spacciato per Grandi Opere. «Siamo una cinquantina di situazioni diverse» conferma Michela Piccoli che da Vicenza, insieme a Daniela Spera da Taranto, amministra su Facebook la pagina Mamme da Nord a Sud. E Michela è tra le infaticabili protagoniste del comitato Mamme e genitori contro la Pfas, che il 1 luglio prossimo, dopo infinite peregrinazioni e bussar di porte, porterà in tribunale la possente MITENI (Mitsubishi+Eni) sul caso del perfluoro alchilico, Pfas appunto, che ha contaminato la seconda falda acquifera più grande d’Europa, oltre 320.000 utenti tra Padova, Verona e Vicenza – un killer occulto che, da infermiera oltre che mamma, Michela è stata tra le prime a denunciare.
A Torino, contro la criminalizzazione che ha colpito i loro figli per il solo fatto di essere contrari alla Torino-Lione, sono attive da tempo le Mamme in piazza per la libertà del dissenso. In Puglia ci sono le Mamme NoTap che lottano contro una repressione non meno punitiva che in Val Susa. E poi c’è l’infinita agonia di Taranto, i Comitati lì non si contano. Solo poco più in là, Basilicata, ecco le Mamme libere per la tutela dei figli sull’emergenza dei trialometani a Policoro, attive anche come Mediterraneo NoTriv. In Campania tra i tanti comitati che si oppongono alle discariche, ci sono le Mamme Vulcaniche, sorelle delle Mamme contro le fonti inquinanti di Mantova – mentre a Cagliari, in difesa di 45 giovani rinviati a giudizio con accuse gravissime per essersi opposti alla vergogna (anche nostra!) delle basi militari, ecco le Madri contro l’operazione Lince, contro la repressione.
Lontanissime dallo stereotipo della madre dolorosa, forti della capacità di fare rete che è propria delle donne, sono scese in campo in orgogliosa difesa di quei giovani che sono proprio figli loro, cresciuti nel solco dei loro stessi ideali, urgenza di opporsi – per provare davvero a difenderlo, questo nostro pianeta cui tutti apparteniamo. Un movimento quindi di iniziative che sono sì circoscritte ai territori, ma molto chiaro circa gli obiettivi, consapevole sul fronte dei diritti, molto politico. In continua risonanza nel rilancio dei post sui social, suggerimenti sul fronte legale, percorsi da seguire, porte da bussare. E attivo ben oltre le vicende giudiziarie che vedono colpita la loro pace domestica. Ed eccole quindi solidali con i migranti, lavoratori della logistica, occupanti di case, o nelle mobilitazioni contro la ricomparsa del fascismo nei quartieri, nei Campus universitari. Ovviamente in corteo il 25 aprile e primo maggio con propri striscioni, impavide (quando succede) nello sfiorato corpo-a-corpo con scudi e manganelli – ovunque sia possibile manifestare vicinanza «nel senso profondamente rivoluzionario del prendersi cura» (per dirla con la triestina Lorena Fornasir, mamma anzi nonna molto speciale…).
No Tav
E per esempio sul caso dell’attivista Dana Lauriola e dei tanti NoTav dietro le sbarre insieme a lei, le Mamme in piazza per la libertà di dissenso di Torino non hanno mai smesso di darsi appuntamento sotto le mura del carcere Le Vallette dai primi di ottobre in poi. «Danaaa… siamo quiiiii… anche oggiiii… per portarti il nostro affettoooo… e per salutare insieme a te tuttteeee e tuttiiiii… i nostri compagniiii… di resistenzaaaa…». Ogni santo giovedì, sotto la livida luce dei lampioni nei mesi più freddi, o nel plein air via via più chiaro andando verso l’estate, eccole inscenare il Coro delle Grida, incuranti delle Forze dell’Ordine mentre scaricano l’altoparlante, gli attaccano il microfono che poi si passano l’un l’altra secondo un copione, qualche pausa musicale per riprender fiato – finché Dana sono riuscite a tirarla fuori.
O per essere più precisi: finché le loro grida, urlate con quanto fiato le donne possono avere in gola, urlate ancor più in tante con il formidabile concorso delle Fumne (che sta per femmine nel dialetto della Val Susa) e poi regolarmente postate su Facebook, non hanno raggiunto per chissà quali eteree vie un altro gruppo di donne oltre la punta dello stivale, presso la Biblioteca UDI di Palermo, con l’ex parlamentare Daniela Dioguardi che non ci credeva «che un caso così potesse succedere in Italia! Che il solo amplificare il proprio dissenso dentro un megafono, come nel caso di Dana, con la recidiva del non pentimento, potesse giustificare una condanna di due anni! E quanti ergastoli dovrei scontare io, che senz’altro non mi pento per tutte le volte che ho avuto un megafono in mano?»
Così è successo che già da prima di Natale, ai messaggi urlati al microfono alle Vallette di Torino, si sono aggiunti anche quelli delle Donne UDI di Palermo, e poi anche quelli delle Mamme contro la repressione di Cagliari: impossibilitate a spostarsi dalle varie Zone Rosse, ma decise a farsi sentire almeno in viva voce, con il cellulare attaccato al microfono e poi postate pure loro su YouTube. «Da lì siamo partite. Appelli, lettere, pure a Mattarella, per ben due volte ma non ci ha risposto… anche a Liliana Segre (siamo in attesa). Finché insieme all’amica di tante battaglie, Maria Luisa Boccia (Centro Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato) è volata la raccolta-firme. È uscito qualche articolo, ahimè pochi…». Come smuovere il generale ottundimento, resta il problema.
E però non tale da fermarle, anche adesso che a Dana Lauriola hanno concesso i domiciliari. Per cui sì, è fuori di prigione ma non può vedere nessuno, non può neppure abitare in quello che sarebbe il suo domicilio in Val Susa, Bussoleno. E comunque dietro le sbarre è rimasta Fabiola, che proprio in questi giorni si è messa in sciopero della fame per ribadire il «diritto all’affettività» dopo che le sono state tolte le videochiamate con il compagno e non le è permesso di vedere nessuno che non sia il padre! E insieme a Fabiola restano in carcere tanti altri, e altri arriveranno, se verranno accolte la richieste del PM per gli attivisti implicati negli scontri del luglio 2019 – per lo stesso accanimento persecutorio che da anni criminalizza un intero territorio dal TAV-cantiere ai Centri Sociali di Torino e si quantifica in un’infinità di procedimenti, misure cautelari, divieti di dimora. Oltre ai tempi e costi della giustizia, all’impressionante impiego di truppe in valle, pensiamo a quante vite si trovano ingabbiate da infiniti tunnel giudiziari, nel fiore degli anni. «Incredibile un simile scenario punitivo, con le ben più importanti priorità che l’epidemia ha evidenziato sul fronte della salute, e considerate le scadenze che saremmo obbligati a rispettare sul fronte dell’ambiente» commenta ancora Daniela Dioguardi.
«E ancor più incredibile è l’indifferenza dell’opinione pubblica. Tutti a indignarci, giustamente, per il carcere inflitto a Patrick Zaki, e nessuno che si accorga di questa battaglia impari, portata avanti (tra gli altri, ma con particolare passione) da questi gruppi di Mamme, instancabili, in continuo sostegno fra di loro, mosse dall’urgenza di rispondere alla repressione così indiscriminata del dissenso, in difesa di quei loro figli che sarebbero da premiare e non criminalizzare, per il loro impegno sul fronte ambientale!» Dana, Fabiola, Stella, Mattia, Stefano, Stefania, Jacopo, Emanuela, l’elenco dei nomi e delle pene, dietro le sbarre, ai domiciliari, o in ‘sorveglianza speciale’, sarebbe lunghissimo.
Particolarmente clamoroso il caso di Edgarda Maria Marcucci, Eddi per gli amici, che Alessandra Vanzi mette a fuoco (nel pezzo qui accanto) nel racconto della madre, Roberta Lena: che su quell’esperienza di genitoriale apprensione e al tempo stesso ammirazione, rispetto, orgoglio per la figlia partita, e combattente, in Rojava, ha scritto questo libro bellissimo, Dove sei, che forse diventerà film, come minimo pièce teatrale – in presa diretta su una generazione per la quale ‘cambiare il sistema’ non è frase né utopia, ma urgenza vera, per la quale battersi.
2 giugno a Foras
Invece succede che in Sardegna, la procura di Cagliari sta da tempo infierendo con accuse gravissime contro quarantacinque attivisti di un movimento proprio di tutti, di popolo, che da sempre si oppone all’inaccettabilità delle basi militari. Per una serie di manifestazioni che ebbero luogo a Teulada, Decimomannu e Quirra tra il 2014 e il 2017, si parla addirittura di Associazione a delinquere con finalità terroristiche. «Uno Stato che avvalla la strage di Viareggio e che non si costituisce parte civile per il disastro di Quirra, si accanisce contro questi giovani proprio perché giovani e pensanti» hanno ribadito in una lettera le Madri contro l’operazione Lince, e contro la Repressione. «I nostri figli sono la gioventù migliore, siamo stati noi a crescerli con le idee e i sogni di un mondo senza lo stupro delle guerre, senza l’orrore delle armi. Noi abbiamo trasmesso loro l’amore e il rispetto della terra. Noi li abbiamo nutriti di pane e pensiero libero e critico… e ci opporremo con tutte le nostre forze a questo disprezzo della giustizia». L’udienza è stata rimandata al 14 settembre causa-Covid. L’estate trascorrerà con una serie di iniziative insieme al movimento A Foras, primo appuntamento il 2 giugno proprio a Capo Teulada. Le Madri saranno in prima fila.
E poi e poi… non basterebbe questo intero Alias per raccontare la diversa e uguale ingiustizia che udienza dopo udienza vede trascinarsi in tutt’Italia contenziosi che anche senza bisogno di sentenze, chiunque sarebbe in grado di valutare nei danni e patologie già così incidenti, già così tipicamente diagnosticati nella popolazione.
Miriade di casi che vedono protagoniste/i donne e uomini insieme, giovani e anziani, comunità autentiche, attive. Nella rivendicazione di tutele, valutazioni di impatto ambientali e sanitarie regolarmente ignorate benché previste. Nella richiesta di rispetto dei diritti della terra, cambio di passo una volta per tutte, in una parola giustizia.
E però noi… Dove siamo?
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