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Le lotte di Paolo

Le lotte di PaoloPaolo Pietrangeli

Ricordi/Pietrangeli, cantautore e regista, è scomparso lo scorso lunedì Sempre impegnato politicamente, ha composto uno dei brani simbolo della sinistra, «Contessa»

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 27 novembre 2021

Molti lo conoscevano come quel barbuto che di tanto in tanto si affacciava sul palco del Teatro Parioli, a Roma, invitato per un applauso di rito da Maurizio Costanzo. Era stato infatti per vent’anni il regista dell’immarcescibile show. Ma non solo. Lo era stato anche di Amici e di qualche puntata di C’è posta per te. Quando, nel corso di un incontro casuale, gli avevamo chiesto: perché Mediaset? Perché questo so fare, il regista. E poi – soggiunse – quello che parla per un professionista è la sua integrità morale. Aveva ragione. Ci è capitato di frequentare per un breve periodo la berlusconiana Mondadori e ci accorgemmo che la redazione degli Oscar era una specie di covo di bolscevichi (un pomeriggio, durante una discussione animata, si erano dichiarate simpatie per Trotskij ed uno degli interlocutori ci tolse il saluto per parecchi giorni. Uno stalinista?). Paolo Pietrangeli di regia se ne intendeva. Aveva fatto la gavetta come aiuto di Bolognini (L’assoluto naturale,’69), di Visconti (Morte a Venezia,’71), di Fellini (Roma,’72). Questo praticantato gli aveva permesso di filmare lo struggente I giorni cantati (’79) dove chiedeva a un professorale Guccini, sulle note di Eskimo, di fargli cantare una canzone, «una cosa importante, France’». Seguì nel 2001 Genova. Per noi con Wilma Labate e Roberto Giannarelli sugli orrori del G8 e la morte di Carlo Giuliani, ma il più importante di tutti, a nostro modesto parere, fu Bianco e nero, sul neofascismo in Italia e le collusioni con gli apparati dello Stato.

CANTACRONACHE
All’orizzonte apparve un giorno il movimento torinese di Cantacronache, il gruppo che cercò interlocutori attenti per dire loro che esisteva la possibilità di una canzone nuova, sociale, utile. Un gruppo pionieristico che componeva i testi e li propagandava attraverso una distribuzione approssimativa. I nomi, allora poco conosciuti, erano quelli di Fausto Amodei, Sergio Liberovici, Michele Straniero, Emilio Jona, Giorgio De Maria ai quali si unirà, successivamente, Margherita Galante Garrone, la mitica Margot. A loro si erano presto uniti intellettuali del calibro di Franco Fortini e Umberto Eco che contribuirono alla causa con i loro testi. Cantacronache costituisce un’esperienza irripetibile, vissuta da intellettuali, musicisti, poeti che lavorarono all’ambizioso progetto di una canzone di contenuti, in contrapposizione e in rivolta a/contro la canzonetta di consumo. Italo Calvino affida a Canzone triste lo scoramento dell’operaio: «Mattina e sera i tram degli operai/portano gente dagli sguardi tetri;/di fissar la nebbia non si stancan mai/cercando invano il sol,/fuori dai vetri». Umberto Eco, in anticipo sui tempi, denuncia lo scandalo dell’aeroporto di Fiumicino: «Tuppe tuppe colonnello,/compreremo un campicello:/entro un anno sarà sorto/un magnifico aeroporto,/lo faremo a Fiumicin,/dopo Roma lì vicin./Ci godremo una cuccagna/coi quattrini dei Torlonia!/Tanto infine chi si sogna/i registri controllar!».

MUSICA POPOLARE
Se il loro merito fu quello di sdoganare la canzone politica, una canzone cioè che parlasse al popolo del popolo, al Nuovo canzoniere italiano, con Paolo Pietrangeli appunto, Giovanna Marini e Ivan Della Mea (che fa assurgere Bella ciao, è bene ricordarlo, a bandiera di liberazione), va il merito maggiore di definire il bagaglio culturale e la ricchezza della musica popolare. Lo storico spettacolo Ci ragiono e canto, condotto da Dario Fo, al Carignano di Torino nel ’66, avrebbe influenzato molti dei cantautori storici. E non è possibile dimenticare un punto di riferimento essenziale di questa storia che è Roberto Leydi. Il suo obiettivo fu l’etnomusicologia in un mélange assolutamente felice che comprendeva lo studio dei canti politici, dei canti degli anarchici, dei canti dei lavoratori (delle filande, ad esempio). Leydi raccolse un materiale sterminato di musica popolare che incontrò e sposò il filone impegnato dei cantautori, a monte dei quali c’è Nuovo Canzoniere Italiano (e, prima di esso, Cantacronache). Non è casuale che le ultime composizioni di Pietrangeli siano canzoni dal carattere esistenziale ma filtrate attraverso un’esperienza di lotta e di politica e di confronto serrato, alcune delle quali ci riportano a Brel e Brassens dai quali si era partiti certo ma che ora assumono carattere di assoluta indipendenza e originalità. E prima di Ci ragiono e canto, è proprio Roberto Leydi, nel ’64, a confezionare uno spettacolo epocale, Bella ciao, che coniugò al femminile (Sandra Mantovani, Giovanna Marini, Giovanna Daffini) una testimonianza cui rese onore il Festival dei Due Mondi di Spoleto nello stesso anno.

VERSI DIROMPENTI
Sono dirompenti versi come: «Che roba contessa all’industria di Aldo/han fatto uno sciopero quei quattro/ignoranti/volevano avere i salari aumentati/dicevano, pensi, di esser sfruttati./E quando è arrivata la polizia/quei quattro straccioni han gridato più/forte,/di sangue han sporcato il cortile e le/porte,/chissà quanto tempo ci vorrà per pulire./Del resto mia cara di che si stupisce/anche l’operaio vuole il figlio dottore/e pensi che ambiente ne può venir fuori/non c’è più morale, contessa». Appartengono alla celeberrima Contessa di Pietrangeli. Cantata nel corso di un Primo Maggio, solleticò la curiosità di un commissario che sporse denuncia per vilipendio. Se avesse avuto la pazienza di aspettare qualche mese avrebbe preso due piccioni con una fava: le parole di Mio caro padrone domani ti sparo erano molto, molto più dure (Mio caro padrone domani ti sparo/farò di tua pelle sapon di somaro/ti stacco la testa ch’è lucida e tonda/così finalmente imparo il bowlìng…/Ma prima ti inchiodo/la lingua al palato/ ti faccio ingoiare/ un pitone salato/e con quei tuoi occhi/porcini e cretini/alla mia ragazza/ farò gli orecchini.)
Contessa era nata per caso in un bar, ascoltando i discorsi di alcuni avventori che definivano pseudo-rivoluzionari i manifestanti che facevano argine all’assalto dei fascisti durante la morte di Paolo Rossi. Il Tenco gli riconobbe un premio, appena l’anno scorso, che non poté ritirare personalmente, aggredito com’era dal male. Inviò un vinile di sue canzoni che costituiscono (una fra tutte Amore un cazzo) la summa dell’esperienza dei gruppi storici coniugata alle riflessioni dei cantautori. Abbiamo parlato di Contessa ma anche Rossini merita un’attenzione non distratta, la storia di un manifestante arrestato dalla polizia che viene torturato in caserma.
La morte improvvisa del padre rimarrà un dolore mai sopito. Vogliamo parlarvi di Antonio, il regista dell’indimenticabile Io la conoscevo bene con una Sandrelli dalla bellezza abbacinante, che tuffandosi in mare a Gaeta trovò sulla sua strada uno scoglio scortese.
Si era candidato con Potere al popolo senza essere stato mai eletto. Si era iscritto al Partito comunista ad appena 19 anni. Era stato animatore dello storico Beat 72 e ci rimarrà impresso quello sguardo bonario e a volte un po’ timido che tanta cultura avrebbe regalato alla storia della musica e del costume.
Ignoriamo se abbia mai smesso l’eskimo, lui. Pensiamo di no, al netto delle prove, degli scadimenti di tono, dei cambiamenti di programma che possano averlo accompagnato. Non ci si piega solo perché la vita ha provato a spezzarti. Si è solo un po’ provati. Come lo siamo noi oggi nel salutarlo ignari di dove le navi di Cortez, sulle quali è imbarcato, lo stiano portando.

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