Le insolite possibilità del trio
Tra gli organici del jazz il trio è spesso associato a quello che comprende pianoforte, contrabbasso e batteria. Meno facile è trovare altre soluzioni e proprio di due di queste ci occupiamo questo mese. Il vibrafonista Luigi Vitale è musicista apprezzato per le sue doti di estrema versatilità in grado di suonare agevolmente in contesti classici, di musica applicata, jazz, libera improvvisazione.
Il quarantaduenne salernitano, da tempo residente e operante in Veneto, ha pubblicato il quarto album a proprio nome Kalimbata (Artesuono) che condivide con il batterista Luca Colussi e il pianista Gianpaolo Rinaldi, e del quale firma tutte le composizioni. In questo pregevole lavoro è particolarmente riuscito l’impasto timbrico tra l’organo Hammond di Rinaldi e le percussioni di Vitale (vibrafono, balafon e kalimba) in grado di evocare paesaggi folk senza però rinchiudersi in un esotismo da cartolina. Largo spazio hanno le suggestioni caraibiche e africaniste.
Il secondo elemento caratteristico è la presenza, in diverse combinazioni, di ben cinque ospiti: i sassofonisti Daniele D’Agaro e Francesco Bearzatti, il flautista Massimo De Mattia, il trombettista Mirko Cisilino e il chitarrista Denis Biason. Da Calypso per Daniele, con un D’Agaro ispiratissimo al clarinetto, a un travolgente e inconsueto De Mattia danzante in Grooveggi fino al reggae, in solo trio, False Restart, questo è un disco che riesce ad essere al tempo stesso godibile ma non banale, raffinato e accessibile. Se Kalimbata apre verso l’esterno il trio base con una spinta centrifuga Lacy in the Sky with Diamonds (Clean Feed), di Roberto Ottaviano, Danilo Gallo e Ferdinando Faraò invece orienta la definizione del perimetro strumentale in senso contrario.
L’essenzialità della formazione è in qualche caso ridotta a due, in Hard Loging il sax soprano di Ottaviano e il contrabbasso di Gallo, in The Owl solamente il sax. Come si può intuire dal titolo il disco è dedicato al magistero del compianto Steve Lacy (1934-2004). Sue tutte le composizioni alle quali i tre musicisti hanno affiancato improvvisazioni collettive. Sorprendente l’uso del banjo da parte di Danilo Gallo, musicista di statura colossale; sempre fantasioso e pertinente Faraò. Di Ottaviano si è già sottolineato il felice momento creativo e questa registrazione, dalla quale traspare l’evidente passione e commozione, non fa che confermarlo.
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