Visioni

Le infinite umanità di Pasolini

Le infinite umanità di PasoliniFuga Pasolini – foto di Giovanni Chiarot

A teatro Il Friuli dedica al poeta di Casarsa un ricco cartellone di iniziative che si apre con i due lavori di Virgilio Sieni e Giuseppe Battiston

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 14 novembre 2015

Era annunciato che il quarantennale della morte violenta di Pasolini avrebbe suscitato ogni genere di ricordi e «celebrazioni». Ma bisogna anche ammettere che tra le molte sciocchezze e i luoghi comuni sentiti, visti e letti in questo novembre, ci sono anche cose interessanti, che aiutano l’elaborazione del pensiero sul poeta. Qualche bel ciclo di film riproposti in tv, qualche ripubblicazione editoriale, e anche qualche spettacolo, possono incrementare il risultato fondamentale da ottenere, ovvero che nuove generazioni di lettori e spettatori si avvicinino e si confrontino con la sua scrittura e le sue opere.

Il Friuli dedica al poeta di Casarsa, e non per meri motivi territoriali, un sostanzioso cartellone di iniziative. Tra queste, il Css di Udine ha elaborato un corposo programma spettacolare avviato proprio nella fatidica data della ricorrenza. Ci saranno diversi artisti all’opera, di generazioni diverse: tra poco Luigi Lo Cascio, e chiuderanno Ricci & Forte, ma intanto ci si è potuti commuovere con Virgilio Sieni e Giuseppe Battiston.

L’appello alla commozione non è casuale, perché fortissimo è l’impatto emotivo che suscita Fuga Pasolini Ballo 1922, un percorso spettacolare cui Sieni ha chiamato una cinquantina di persone: danzatori amatoriali o per formazione, intellettuali e casalinghe, giovani e persone mature . Un insieme composito, selezionato in loco, e allenato alla creatività in un percorso di mesi. Ora sono lì, nel teatro San Giorgio trasformato da due gradinate laterali che si fronteggiano e ospitano il pubblico, come in un’Orestea di Ronconi. Dal palcoscenico scende un praticabile da cui i danzatori avanzano incessantemente come fossero «l’ultimo stato» di Pelizza da Volpedo, non in senso sociologico, ma stato emozionale, terragno, magico. Corpi «qualsiasi», singoli, a gruppi, tutti assieme, che escono lateralmente sul fondo, per riapparire poco dopo in un a sorta di moto perpetuo senza tempi o scadenze prevedibili, solo governati dalla partitura di suoni creata da Michele Rabbia, e dalla propria sensibilità, ma soprattutto dal rapporto con l’altro che gli sta a fianco o lo precede. Avanzano, corrono, cadono, battono mani, e piedi. Corpi che chiedono, e vogliono. Non decine di danzatori, ma infinite umanità, di ogni forma e formato.

Un flusso corporale senza parole, ma che pure esprime da quei volti, e soprattutto da quei corpi (preponderanti per numero quelli femminili), l’importanza, la complessità, ma anche la felicità del commisurarsi con l’altro. C’è l’eros naturalmente, motore di tanta parte di Pasolini, ma anche tutto il resto della vita, e degli altri. Sguardi, gesti, pause, attenzioni, esitazioni, squadernano altre possibili grammatiche dei rapporti umani, o almeno la loro ricerca e la loro possibilità. Torna l’occhio ingordo di Pasolini sui corpi e sugli occhi, e sulla diversità feconda che arrivava a «sacralizzare» in certi sopraluoghi in Africa, in India o magari sotto le mura di Sanaa.

La più complessa delle riflessioni nasce da questa nuova epifania di Sieni che cita nel titolo solo l’anno di nascita del poeta, e senza retorica e senza artifici spettacolari induce appunto alla commozione più profonda. Così come commovente risulta sentire le bellissime, e un po’ misteriose per i foresti, poesie dialettali, in bocca a Giuseppe Battiston, che proprio dalle parti di Casarsa vanta una ascendenza familiare. Anche se qualche parola, o espressione, può sfuggire alla comprensione, è molto forte l’adesione che suscita la musicalità di quei versi, il loro andamento grave eppure gioiosamente infantile, alla scoperta del mondo, delle acque del fiume, della complessità umana e dei fatti anche più crudeli.
L’attore è straordinario, riuscendo a liberare energie pur nel racconto strumentale suggerito dalla drammaturgia di Renata Molinari, e della controparte di spalla (poco musicale questa volta) di Piero Sidoti. Non c’è acqua più fresca suona il titolo di questo excursus, cui la regia di Alfonso Santagata dà i segni solo apparentemente ingenui dei giochi infantili, le magie del circo e dei festoni, lasciando alla voce e al corpo di Battiston la magia più grande, quella di entrare pienamente, e rendere concretamente allo spettatore, la suggestione poetica di Pasolini.
Un viaggio picaro, e insieme malinconicamente consapevole, nell’universo della parola che è già mondo, e sua conoscenza.

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