Le immagini e le voci dei territori devastati non solo da acqua e fango
A un anno dall’alluvione in Emilia Romagna non è scontato uno sguardo critico e non retorico su cause e nuovi modelli da mettere in atto dopo i 350 milioni di metri cubi di acqua che si sono riversati sul territorio, provocando esondazioni, allagamenti e migliaia di frane.
RESTITUIRE VOCE A CHI da quei giorni ha cercato di trarre il segno lampante della necessità di un cambio radicale nella gestione dei territori è lo scopo del documentario Romagna Tropicale del regista Pascal Bernhardt, girato a una settimana dal disastro e 8 mesi dopo. Con testimonianze di associazioni e singole persone, in pianura e sull’appennino, il film va oltre la difficoltà di metabolizzare i fatti dettata dall’urgenza, per restituire le riflessioni dal basso che hanno accompagnato quel momento, a caldo e dopo.
FANGO, NON PUÒ CHE ESSERE la prima immagine del film, quello in cui si è trovata invischiata la vita di migliaia di persone, intente a cercare di recuperare il recuperabile, a lavare, a districare oggetti che fino a poche ore prima erano rassicuranti in casa e poi erano accatastati nelle strade imbrattate.
«È QUALCOSA CHE LASCIA un vuoto – dice Gianfranco Savoriani, abitante di Faenza – sapere che hai buttato via tutta la tua roba». Le immagini della pianura si alternano a quelle delle alture: «La vallata era un mare. È stato un evento tropicale. Il clima è cambiato, si è rotto qualcosa» dice un agricoltore fuori dalla casa non più agibile. Concetto che l’attivismo per il clima conosce bene, condensato nello striscione «non è mal tempo, è mal territorio», aperto in Piazza Maggiore a Bologna durante l’assemblea pubblica sul post alluvione: «Abbiamo visto la disuguaglianza con cui le persone si sono trovate a lottare contro una condizione climatica verso la quale non erano predisposte» dice un attivista, mentre le immagini mostrano i quartieri popolari, aiutati solo dal lavoro volontario: «Siamo l’ultima parte del mondo» racconta uno dei suoi abitanti nella periferia di Faenza, indicando gli oltre due metri dal suolo a cui è arrivata l’acqua nella sua cucina, ancora inagibile mentre il centro cittadino era già pulito. Quella stessa piazza che aveva visto improvvisare un valzer liberatorio a chi da giorni spalava fianco a fianco, ma anche le passerelle politiche e le contestazioni.
FILO CONDUTTORE È LA VOCE del collettivo Wu Ming 2 che evidenzia come addossare il problema alle cause naturali elimini «da un lato quello che potremmo fare prima, rispetto all’uso di combustibili fossili, ai modelli economici, e dall’altra la responsabilità, l’analisi di cosa sarebbe successo se quel territorio fosse stato meno cementificato, se i fiumi non fossero stati rettificati nel loro corso, se non si fosse costruito in un certo modo».
WU MING 1 INVECE TRACCIA la parabola di una terra, la Valle Padana, diventata da «motore pompante del capitalismo italiano» a una delle zone più inquinate, dove si è perso il delicato equilibrio di una terra strappata alle acque: «Nella vita di campagna, pur senza idealizzare, c’era conoscenza del territorio, si sapeva quando un argine non era messo bene, mentre oggi si è delegato il controllo dei territori, che sono sempre più vittima di un’ibridazione con una urbanizzazione incontrollata».
COME QUELLA CHE HA PORTATO al taglio di oltre un migliaio di alberi nella zona del Parco del Paleotto, alle porte di Bologna, per fare posto a un cavalcavia dello snodo autostradale, i cui lavori proseguono inesorabili proprio in uno dei punti che l’alluvione ha rivelato più fragili. La contestazione dell’opera da parte delle associazioni, acuitasi dopo l’alluvione, e rappresentata nel film dall’accalorata discussione avvenuta con l’amministrazione, è simbolica della fatica che ancora si fa nell’intraprendere un vero cambio di paradigma.
ROMAGNA TROPICALE è visibile sulla piattaforma online Open DDB, insieme ad altri contenuti sul tema, come Fango, corto di Rita Marzio Maralla girato sulle colline bolognesi durante l’alluvione, che apre, in forma intimista, interrogativi sul modo in cui sempre di più ci troviamo a dover vivere gli eventi estremi del clima.
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