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Le geniali congetture di Housman sugli astri di Manilio

Le geniali congetture di Housman sugli astri di ManilioPalazzo Farnese di Caprarola (VT), sala del Mappamondo, 1574, part. della volta con lo zodiaco e le costellazioni

Manilio edito da A. E. Housman Il testo degli «Astronomica», poema didascalico di Manilio (il concettoso poeta del I secolo), fu deformato dai copisti. Dopo gli interventi di due giganti come lo Scaligero e Bentley, fu Alfred E. Housman a tentare la sfida: tre decenni di lavoro durissimo per un’edizione magnifica, a proprie spese...

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 25 agosto 2024

Nel 1903 usciva il primo dei cinque volumi dell’edizione critica con commento degli Astronomica di Manilio a cura di Alfred E. Housman, allora quarantaquattrenne e da undici anni professore di Latino all’University College di Londra. Housman non era stato uno studente di successo, e dopo la traumatica bocciatura all’esame finale in lettere classiche a Oxford nel 1881 si era mantenuto lavorando per circa un decennio all’Ufficio brevetti di Londra. Era però un filologo classico di straordinario talento, e nel tempo libero dalla routine impiegatizia era riuscito a pubblicare una serie di articoli di eccezionale valore sul testo di passi difficili di poeti latini e greci che gli erano valsi nel 1892 la cattedra londinese.

Un’immagine nitida di quali fossero sia il genio filologico sia l’indole altera che il giovane Housman aveva sviluppato per rendere tetragono il suo orgoglio ferito, la offre l’articolo Emendationes Propertianae del 1887, in cui il nostro – a cui due anni prima era stata rifiutata dalla Oxford University Press, dalla Cambridge University Press e da Macmillan un’edizione critica di Properzio che non avrebbe mai visto la luce (il manoscritto autografo venne distrutto nel 1936 dall’esecutore testamentario di Housman) – pubblicava con sublime sprezzatura, sostanzialmente in forma di nudo elenco, soluzioni, spesso brillantissime, a problemi testuali in ben 240 luoghi di Properzio, seguite da un’analisi discorsiva, non meno brillante, della prima elegia del primo libro properziano. Housman, con gesto provocatorio, costringeva l’establishment culturale e accademico britannico – riluttante a riconoscere le sue doti – ad ammirare il suo virtuosismo e la sua creatività filologica.

Virtuosismo compositivo
Da quel momento la sorte cominciò ad arridere ad Housman: il suo fertile ingegno continuò a partorire articoli acutissimi; ottenne, sostanzialmente per chiara fama, la cattedra universitaria (prima a Londra dal 1892 al 1911, e poi a Cambridge fino al 1936, anno della morte); nel 1894 uscì la sua edizione critica dell’Ibis di Ovidio; nel 1896 fu pubblicata la sua prima raccolta poetica, A Shropshire Lad, che lo consacrò come uno dei più significativi lirici inglesi del proprio tempo (seguì nel 1922 un secondo libro di poesie, Last Poems).

Un anno dopo l’uscita di A Shropshire Lad, Housman, che desiderava ardentemente eguagliare la fama dei più illustri filologi classici della storia, individuò il poeta latino grazie a cui poteva soddisfare la sua ambizione. Si trattava di un poeta minore (ancorché talentuoso), Manilio, autore degli Astronomica, un poema didascalico in esametri dattilici di argomento astrologico in cinque libri, databile grosso modo alla seconda decade dell’era volgare. Housman considerava Manilio un poeta frivolo e poco profondo; ne apprezzava, tuttavia, il concettoso virtuosismo compositivo («Manilio è l’unico poeta latino che per acume verbale e intelligenza supera addirittura Ovidio»), pur ironizzando sul piacere che Manilio ricavava «dall’esercitare quell’eminente attitudine a fare calcoli in versi che costituisce la sfaccettatura più luminosa del suo genio». Non è, d’altro canto, per ragioni estetiche che Housman scelse Manilio per ottenere la gloria, ma per l’intrinseca difficoltà del testo. Degli Astronomica di Manilio, come degli altri classici greci e latini, non possediamo l’originale; l’opera è giunta fino a noi grazie a una sequenza di trascrizioni (i manoscritti più antichi che ancora si conservano sono stati vergati mille anni dopo la composizione del poema). Gli amanuensi capivano assai poco il manieristico latino di Manilio e ancor meno l’ardua materia astrologica; tendevano quindi, per ignoranza o per distrazione, a deformare anche profondamente il testo che copiavano.

Oltre trecento le emendazioni proposte
Housman, che eccelleva nell’esegesi puntuale ed era sommo nell’emendazione congetturale (ossia nell’arte di rimuovere gli errori prodotti dai copisti), vedeva perciò negli Astronomica un testo su cui poteva offrire un contributo indelebile. Ma c’è anche altro: avevano pubblicato edizioni critiche degli Astronomica due tra i massimi filologi classici mai esistiti, il francese Giuseppe Giusto Scaligero (nel 1579) e l’inglese Richard Bentley (nel 1739). Questi due giganti avevano risolto genialmente molteplici problemi testuali ed esegetici (Housman accoglie nel suo testo di Manilio 220 emendazioni di Scaligero e 238 di Bentley), ma un numero altrettanto grande di problemi ancor più difficili era stato a malapena sfiorato. Realizzando un’edizione di Manilio, Housman si sarebbe dunque potuto misurare in una sorta di corpo a corpo con due degli spiriti magni della filologia classica e, se non avesse sfigurato, avrebbe ipso facto evidenziato nel modo più spettacolare la sua superiorità sui latinisti del suo tempo.

La sfida era ardua e costò ad Housman tre decenni di lavoro durissimo, ma fu vinta. Preceduto da un paio di articoli importanti (del 1898 e del 1901) e accompagnato da altri parerga maniliani e astrologici, il Manilio di Housman uscì in cinque eleganti volumi (1903; ’12; ’16; ’20; ’30), pubblicati – a spese di Housman stesso – dall’editore dandy Grant Richards, che aveva stampato nel 1898 la seconda edizione di A Shropshire Lad e che sarebbe stato amico di Housman per tutta la vita (nel 1942, sei anni dopo la morte di Housman, Richards pubblicò un libro sul loro sodalizio, Housman 1897-1936, che include segmenti che possono ricordare Fratelli d’Italia di Arbasino: Housman e Richards a cena al Café Royal di Londra; i due amici aristocraticamente a zonzo per la Francia in automobili a noleggio con chauffeur alla ricerca dei vini più pregiati; il primo viaggio in aeroplano di Housman, ecc.).

Tutti e cinque i volumi del Manilio housmaniano sono di altissimo livello scientifico e contengono emendazioni congetturali e contributi esegetici che eguagliano quantitativamente e qualitativamente quelli di Scaligero e Bentley (le emendazioni proposte da Housman sono oltre trecento, e la più bella tra esse – eguit Iove al v. 423 del I libro – è forse l’emendazione più geniale mai ideata per un testo classico).

L’elegia di dedica
Ma il Manilio di Housman non è solo un capolavoro di erudizione e di ingegno filologico, e non è semplicemente l’edizione critica più importante dello studioso (è nettamente superiore infatti, per originalità e monumentalità, alla già citata edizione dell’Ibis e alle pur eccellentissime edizioni housmaniane di Giovenale e di Lucano, uscite rispettivamente nel 1905 e nel 1926); è anche un’opera brillante dal punto di vista stilistico. L’elegia di dedica che apre il primo volume, indirizzata a Moses Jackson, il grande amore (platonico, a quanto pare) della vita di Housman, è tra i componimenti poetici neolatini meno scontati e retorici del Novecento; il latino delle note di commento, che sono esclusivamente critico-testuali (mirano infatti unicamente a stabilire – per usare le parole di Housman – «ciò che Manilio scrisse e ciò che intendeva dire»), è sempre idiomatico e talora virtuosistico; l’inglese delle lunghe prefazioni ai singoli volumi è di algida e impeccabile eleganza, e spesso immaginifico, specialmente nei virulenti segmenti polemici. Le prefazioni, infatti, non trattano solo del testo di Manilio, ma demoliscono con irridente e freddissima ferocia l’inettitudine degli antagonisti di Housman (ossia tutti i filologi a lui contemporanei e – con l’eccezione di Scaligero, Bentley e pochi altri – tutti gli studiosi di Manilio), con toni che ora ricordano Swift, ora la Bibbia, ora il Leopardi della Ginestra («secol superbo e sciocco…»), ora il Nietzsche delle Considerazioni inattuali.

La tiratura fu di 400 copie
I volumi del Manilio di Housman furono tirati ciascuno in 400 copie, che si esaurirono lentamente. L’edizione, infatti, all’inizio circolò poco (Pasquali, quando nel 1934 scrisse la Storia della tradizione e critica del testo, non l’aveva mai avuta per le mani). Nel secondo Dopoguerra, tuttavia, essa fu riconosciuta da tutti come un sommo capolavoro filologico. E se mi si chiedesse di stilare una graduatoria delle edizioni critiche di classici latini realizzate nel Novecento io – applicando la logica di certi concorsi musicali e parafrasando quel che Housman stesso una volta scrisse («Bentley è il primo tra gli emendatori congetturali di Manilio e Scaligero il secondo; non c’è un terzo») – risponderei che al primo posto c’è il Manilio di Housman e che un secondo posto non c’è.


*Giovanni Zago è professore ordinario di Lingua e letteratura latina all’Università di Firenze. Si occupa di critica del testo, di critica delle fonti e di esegesi di opere letterarie latine e greche. Ha pubblicato, tra l’altro, l’edizione Teubneriana delle Favole di Fedro (Berlin-New York 2020), e sta lavorando alla nuova edizione Teubneriana delle Favole di Aviano.

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