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Le foto di Vladi

Cartelli di strada Correvano i primi mesi del 1975 e, di lì a poco, la caduta/liberazione di Saigon avrebbe significato l’epilogo della prolungata guerra nel Vietnam...

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 29 ottobre 2022

Fin da ragazzino i coetanei glielo avevano dimezzato in Vladi, che a pronunciarlo non è che proprio scivolasse fra le labbra. Ma rispetto a Vladimiro! Così gli restò Vladi, per nome, anche da adulto. Fra il sornione e l’indolente, diploma stiracchiato al liceo artistico e in vista la facoltà di architettura. Alla quale si iscrisse dubbioso, senza convinzione. In città mancava quel percorso di studi. A Firenze allora. Dove, da retaggio sessantottesco, si sarebbe trovato a vivacchiare con gli esami di gruppo per il «18 politico». Già v’intravedevamo l’opportunità del viaggio goliardico, andando a trovarlo. Non aveva lasciato indizi però. A nessuno. Sembrava che avesse voluto di proposito far perdere le tracce. «Se l’era presa comoda all’artistico, ora deve mettersi solo a studiare», chiarirono concisi i familiari, restii dal fornire contatti ad amici sfaccendati. Niente agganci, niente viaggetto a Firenze intruppati nell’utilitaria di qualcuno di noi. Neanche una sua apparizione alla chiusura dell’università durante le festività annuali.

Che fine aveva fatto Vladi? Dopo un anno e mezzo, filtrò voce di non essersi presentato neppure a un esame. C’era dell’altro. Si trovava lontano da Firenze. Anzi, dall’Italia. Volontariamente, si capisce. Si era fatto accreditare in veste di fotografo, chissà come, da una testata giornalistica di lingua anglosassone presso un’unità operativa ancora impelagata nel Sud-est asiatico. Correvano i primi mesi del 1975 e, di lì a poco, la caduta/liberazione di Saigon avrebbe significato l’epilogo della prolungata guerra nel Vietnam. Fiutando la storicità dell’evento (riunificazione del paese in una repubblica socialista monopartitica) si fece trovare sul posto nei giorni dell’evacuazione da Saigon. Altro che aria da indolente! Ci eravamo sbagliati sul conto del nostro amico.

Sbagliati? Tornò a Firenze – i suoi all’oscuro di quella parentesi avventurosa – e cambiata facoltà finì di laurearsi con qualche riguardo dichiarandosi reduce del Vietnam. La rivista su cui sarebbero uscite le sue foto non veniva diffusa in Italia; gli avevano spedito una copia, da mostrarci appena rientrato in città. Solo che non l’abbiamo mai vista. Invece delle foto, sulla fantomatica rivista, si portò dietro il mezzo che le avrebbe prodotte: la fotocamera. Una Nikon reflex nera, mezza sverniciata, così vissuta da essere ridotta a un ferrovecchio. L’aveva comprata per pochi dollari, raccontò, da un marine-reporter nel lasciare Saigon con due anni di guerra alle spalle. Conservando quell’aria sorniona che ricordavamo, diceva che la rivista era ormai inguardabile, cioè logora quanto la Nikon. Quest’ultima almeno era tangibile, reale, usata nella giungla come un’arma e ora esibitaci come un trofeo. Sì, certo. Ma le foto pubblicate?, la prova di un’esperienza fuori dall’ordinario?…

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