Le famiglie sempre più indebitate
Nuova finanza pubblica Se alla fine degli anni '90 l'indebitamento non raggiungeva il 20% sul Pil (17,8% nel 1998, 18,8% nel 1999) negli anni successivi è aumentato di 1-3 punti annuale, fino a toccare un vertice del 44% sul Pil nel 2012
Nuova finanza pubblica Se alla fine degli anni '90 l'indebitamento non raggiungeva il 20% sul Pil (17,8% nel 1998, 18,8% nel 1999) negli anni successivi è aumentato di 1-3 punti annuale, fino a toccare un vertice del 44% sul Pil nel 2012
Compare nel caldo afoso dell’agosto 2018 una notizia che fatica a trovare posto fra la crisi della lira turca e il crollo del ponte a Genova: secondo la Cgia di Mestre è aumentato l’indebitamento delle famiglie italiane.
La media del debito è di 20.549,00 per nucleo familiare a fine 2017, con un aumento dal 2014 di un +8,2%.
Tale indicatore è importante perché mentre si parla ossessivamente del debito pubblico, quello di famiglie ed imprese è meno discusso ma egualmente importante per capire le dinamiche della crisi; anzi di più, se si considera che non solo allo scoppio della crisi il debito pubblico dei paesi che hanno avuto le ricadute più rovinose non era particolarmente preoccupante (sulla media del 66% sul Pil dell’eurozona la Spagna era al 36%, il Portogallo al 68%, l’Irlanda 25%; più consistenti in effetti l’Italia al 103% e la Grecia al 107%) ma in diversi dei Piigs era in diminuzione (fra 1999-2007 Italia -8%, Spagna -41%, Irlanda – 46%! ).
Mentre in tutti il debito privato era in crescita spettacolare: Grecia +217%, Italia +71%, Spagna +75%, Portogallo +48%, Irlanda +101%.
Il fenomeno va visto non come l’espressione di tendenze soggettive (il carattere più o meno spendaccione della popolazione o simili) ma in termini strutturali. La società e l’economia contemporanee sono soggette a processi di decisa finanziarizzazione: Stati, aziende e privati sono sempre più indebitati, e si registra una crescita imponente di profitti dalla sfera puramente finanziaria.
L’indebitamento delle famiglie italiane è in crescita costante: se alla fine degli anni ’90 non raggiungeva il 20% sul Pil (17,8% nel 1998, 18,8% nel 1999) negli anni successivi è aumentato di 1-3 punti annuale, fino a raggiungere un vertice del 44% sul Pil nel 2012.
Con lo scoppio della crisi è diventato sempre più un dato da tenere d’occhio per misurare lo stato di salute dell’economia dei paesi da parte della Commissione, ma oramai il treno è partito ed è difficile da fermare.
Perché i privati si indebitano e in misura crescente? La Relazione annuale della Banca d’Italia lo spiega in modo secco: «I prestiti delle banche e delle società finanziarie alle famiglie hanno accelerato». E i motivi? «L’indebitamento per finalità di consumo è cresciuto a un ritmo molto intenso. L’espansione è stata più sostenuta per i prestiti finalizzati all’acquisto di mezzi di trasporto».
L’ultima frase getta una luce su tale processo: mentre l’indebitamento privato aumenta la quota salari rimane al palo: mentre fra il 1970 e i primi anni ’90 le retribuzioni da lavoro dipendente rimanevano in una forbice fra 66-70% sul pil, nel 1993 c’è una discesa verticale e non si schiodano da un 52% con piccole variazioni (dati Ilo).
Insomma il “keynesismo” mainstream nutre la domanda non con aumenti salariali ma facendo indebitare le persone. E infatti i paesi avanzati hanno un indebitamento privato assai superiore a quelli più poveri (al vertice si trovano Australia, Danimarca, Olanda e Svizzera; fra i più bassi invece: India, Messico. Russia, Turchia; l’Italia è 18 punti sotto la media europea…).
Il problema naturalmente sorge quando il sistema si blocca ed è il momento della restituzione, con le insolvenze che da privati ricadono sulle banche e da queste allo Stato, che naturamente le deve “salvare”.
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