Le «faccette nere» sedute alla grande nel secondo banchetto
Torna anche Gianni Alemanno, l’ex sindaco, nelle carte della seconda tranche di Mafia Capitale. Avrebbe chiesto a Salvatore Buzzi di prodigarsi con la ‘ndrina Mancuso per portargli i voti necessari […]
Torna anche Gianni Alemanno, l’ex sindaco, nelle carte della seconda tranche di Mafia Capitale. Avrebbe chiesto a Salvatore Buzzi di prodigarsi con la ‘ndrina Mancuso per portargli i voti necessari […]
Torna anche Gianni Alemanno, l’ex sindaco, nelle carte della seconda tranche di Mafia Capitale. Avrebbe chiesto a Salvatore Buzzi di prodigarsi con la ‘ndrina Mancuso per portargli i voti necessari a essere eletto nel Collegio Sud alle elezioni europee. Buzzi, già considerato dalla destra l’arcinemico, poi dimostratosi un compagnone, non si sarebbe risparmiato. Un contatto forte aveva, con Giovanni Campennì, ambasciatore dei Mancuso a Roma, e non aveva esistato a contattarlo. Una mano lava l’altra e i Mancuso avevano promesso. Però nei Paesi in cui gli stessi fanno il bello e il cattivo tempo, di voti l’ex sindaco capitolino ne ramazzò pochini assai: sei in uno, poco più di una decina in un altro. La promessa sarà pure stata fatta, ma di certo non mantenuta.
Ciò non toglie che di ex neri coinvolti nella storiaccia ce ne siano di pesanti anche in questa nuova ordinanza d’arresto: Gramazio da solo vale per un mezzo battaglione. Però la sensazione che aver parlato, alla fine del novembre scorso, di «mafia nera» sia stata un abbaglio resta tutta. I neri ci sono e gozzzovigliano. I rapporti stretti ai vecchi tempi con i camerati da Massimo Carminati hanno spianato la strada alla cooperativa rossa di Buzzi in un momento difficile, con la sostituzione della Giunta amica Veltroni con quella inizialmente molto ostile Alemanno.
Ma non ci sono solo loro, e soprattutto non ci sono in veste di «neri» ma semplicemente di autoinvitatisi al grande banchetto. Mafia o corruzione che sia, quella romana è tricolore: rossa, bianca e nera. Se qualcosa questa vicenda dice sulla politica, non è che si abbassata la guardia sull’ideologia e si sono aperte troppe porte. Incluse quelle delle mai dimenticate fogne. È casomai che dell’ideologia, dell’identità e dell’appartenenza politica ci si è sbarazzati troppo in fretta e a cuor leggero, convincendosi che la politica significhi solo amministrazione e spesso carriera.
Se il capo di una cooperativa rossa di prima grandezza come Salvatore Buzzi dichiara in numerose intercettazioni di sperare ardentemente nella sconfitta del candidato di centrosinistra, perché con quegli altri gli accordi sono già di ferro, è segno che qualcosa nella concezione della politica è franato. Se un militante e poi amministratore e alto funzionario di lunghissimo corso proveniente dal Pci come Luca Odevaine non esita a trattare con le cooperative di Cl con i migranti come merce umana e preoccupato solo dal ritardo ciellino nei pagamenti, il segnale è identico.
Casi sporadici, si potrebbe argomentare. Mele marce. Mariuoli, come provò a dire Craxi in una celebre occasione. Ma questa inchiesta e quelle troppo simili che si moltiplicano da mesi dicono il contrario. Non sono casi isolati. E’ un sistema. E a crearlo prima, renderlo onnipervasivo poi, ha contribuito parecchio la pretesa di spogliare la politica da ogni ideologia e da ogni profonda appartenenza.
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