Visioni

Le estati di Renato Nicolini

Le estati di Renato NicoliniRenato Nicolini in un'apparizione ufficiale, a sinistra Sandro Pertini

Storie All’interno dell’Archivio storico capitolino è stata inaugurata una sala dedicata a Renato Nicolini per raccogliere documenti d’epoca, foto e i quindicimila libri appartenenti all’inventore dell’estate romana e oggi donati al Comune. Un lavoro in progress a disposizione delle nuove generazioni per scoprire il talento visionario di un uomo colto e geniale

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 12 agosto 2014

È stato come un flash back ritrovarmi davanti alla Sala Borromini in piazza della Chiesa Nuova a Roma per l’inaugurazione della Sala Renato Nicolini all’interno dell’Archivio Storico Capitolino, in realtà per accedere all’archivio bisogna entrare nel portone a fianco all’illustre sala, perché per me quel luogo è legato all’epoca gloriosa degli anni settanta, quando il nuovo assessore Nicolini la rese disponibile a spettacoli e concerti riaprendola al pubblico romano con India America, kermesse organizzata da Fabio Sargentini che invitò a Roma alcuni dei migliori vocalist indiani e pakistani , uno tra tutti Salamat Ali Khan e l’indimenticabile ballerina Swarnamuki, che danzava bellissima e snodata riproducendo alcune figure «vietate» dell’antica iconografia Hindù, e li «mescolò» ai grandi compositori dell’avanguardia americana, tra cui il possente Charlemagne Palestine che picchiava con ferocia i tasti dello Steinway a coda in quel luogo, maestoso e barocco, in armonioso contrasto con gli eventi ospitati.

E poi l’anno seguente Opening Concerts, organizzato dal Beat72, sempre con le avanguardie musicali italiane e straniere, in cui noi giovani attori della scuderia del Beat eravamo chiamati a partecipare con brevi azioni, improvvisate o non, alla messa in scena dei concerti.
Essere eclettici, mescolare l’alto e il basso, non dare nulla per scontato, mantenere ben salda l’ispirazione surrealista, futurista, dadaista, Debordiana, pop, insomma tener conto di un pensiero aperto alle commistioni culturali nel gestire, soprattutto far conoscere e fruire ai suoi stessi abitanti, la città più antica del mondo, questo, credo, sia stato uno dei pensieri guida di Renato Nicolini. Improvvisamente questo stranissimo giovane assessore, bello e spettinato, entrava nelle cantine e nei cineclub s’interessava al nostro lavoro, recitava anche lui, fu bravissimo nel Cavalier Trombetta del celebre Totò con Leo De Berardinis e Perla Peragallo; e soprattutto ci apriva la città, quella antica: Massenzio, i Mercati Traianei, il Circo Massimo, il tunnel di via Nazionale dove si svolse il più eccentrico , rumoroso e gioioso dei capodanni romani, e quella più moderna, il tanto vituperato Eur, proprio da Nicolini rivalutato nella sua avveniristica e monumentale architettura; per poi ricongiungerla al suo mare a Castelporziano dei poeti col grande palco di fronte all’orizzonte.

Ricordo anche lunghe perlustrazioni, pericolosi scavalcamenti e intrufolamenti illegali negli edifici di Villa Borghese prima di farci aprire le porte dell’Uccelliera e della Meridiana, prima della costruzione del Padiglione di Villa Borghese che tanti bellissimi spettacoli ospitò, tra cui anche il celebre censimento di tutte le realtà teatrali.

Lo avevamo inaugurato noi della Gaia Scienza il Padiglione con Gli insetti preferiscono le ortiche, prima che fosse montato il palco in modo da poter usare nella scena iniziale delle grandi torce infuocate con cui duellavamo in modo che le braci si spargessero sul prato e componessero un planetario che veniva, poi, velocemente riassorbito dal terreno. Anche la parete di fondo l’avevamo lasciata mobile in modo che nell’ultima scena potesse crollare ed aprire alla vista del pubblico il parco immerso nella notte; una volta accadde che il crollo della parete svelò una coppietta in amoroso consesso che si trovò protagonista del nostro finale! È stato un momento di assoluta libertà creativa e personale, anche se di soldi ce n’erano pochissimi ci sentivamo felici nella città liberata. La fine del periodo Nicoliniano fu segnata, non a caso, dallo smontaggio del Padiglione, un 15 agosto, quando non c’era nessuno di noi a presidiarlo, ma anche se ci fossimo stati non c’era più il «nostro» Assessore a difenderlo.

Esco dal lungo flash back ed entro all’inaugurazione della Sala Nicolini. Rivedo tante facce note, tutti siamo un po’ attempati, molti di noi segnati dall’inattività forzata dalla crisi economica, molte le amiche che entrarono a lavorare nelle biblioteche e negli uffici comunali grazie alla legge 285, anche detta dell’impiego giovanile, proprio negli anni settanta; mi chiedo perché non facciano qualcosa di simile adesso invece di lamentarsi per il mal funzionamento dei musei. Le casse che contengono i quindicimila libri di Nicolini non sono state ancora del tutto svuotate e le belle scaffalature anni trenta, recuperate per l’occasione, sono mezze vuote, bisognerà catalogare tutto prima di mettere questo strabordante materiale a disposizione dei giovani.

Perché questo è l’obiettivo, che le nuove generazioni possano usufruirne, possano capire attraverso questa eterogenea massa di testi chi è stato Renato Nicolini, qual’era il suo patrimonio genetico, culturalmente parlando. La targa viene scoperta da Ottavia Nicolini, figlia maggiore, e da Marilù Prati, ultima compagna di Renato, poi cominciano gli interventi introdotti da Ottavia, felice per la riuscita del progetto: l’ Assessore alla Cultura Giovanna Marinelli, alla sua prima uscita pubblica, racconta del suo primo incontro con Renato quando lo invitò a Perugia e si aspettava un funzionario di partito ma si trovò piacevolmente spiazzata da quest’uomo colto e geniale che affrontava ogni tema spostando il centro del discorso verso derive laterali che poi rivelavano sempre un punto di vista nuovo ed essenziale.

Sono poi intervenuti Vincenzo Prostace e Maria Rosaria Senofonte dell’Archivio Storico Capitolino, è stato proiettato il secondo tempo di Ciao Renato bellissimo omaggio di Cristina Torelli e Paolo Luciani da cui trascrivo: «… Ci vorrebbe un grande quadro Majakovskiano, anzi due, avevo chiesto a Ennio Calabria, che era con me nella sede del Pci, di fare due grandi quadri: la storia del capitalismo semplice e quella del capitalismo allargato, poi ci sarebbe voluto un cantastorie per illustrarla. Questa è la storia del capitale tu lavori e lo fai ingrassare, tu resti derelitto ed affamato e il capitale hai ingrassato». E due giovani allievi del Dams di Roma Giuditta Pascucci e Francesco D’Asero hanno letto alcuni brani di Nicolini sulla città, che fanno parte del progetto in progress,(a ottobre e novembre ci saranno altri eventi) Meraviglioso Urbano,(la città e il teatro, la città e il cinema, la città e l’architettura, la città e la memoria e le biblioteche, la città e le politiche economiche culturali), pensato e diretto da Marilù Prati con la collaborazione dell’Università di Reggio Calabria, di Raimondo Guarini di Roma tre, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura di Roma.

Cito dalla prefazione di Nicolini del 2011 alla ristampa di Estate romana «…Se il denaro pubblico andasse alla cultura davvero pubblica, quella che è indispensabile alla crescita generale dell’immaginazione, sono convinto che intorno a questo investimento non ci sarebbe il deserto…Anzi (ri)nascerebbe, spinta dalla concorrenza, un’industria culturale privata, che – non avendo più il profitto garantito dallo Stato – saprebbe conquistare normative fiscali meno ingiuste e penalizzanti e saprebbe generare sinergie virtuose (e non piccoli monopoli…) tra teatro, cinema, televisione, dvd… Penso a cosa potrebbe essere un sistema di residenze teatrali collegate agli Enti Locali ed alle Università, ma anche a cosa potrebbe significare per l’Italia una vera industria culturale, con la pressoché infinita rete di connessioni di cui potrebbe disporre…Se la cultura è libera, è autonoma, è intesa come bene comune, crescerà anche l’industria culturale, la cultura con cui si mangia…».

E ancora «La crisi della politica, quando non si ha la forza di proporre alternative, trasforma tutto in lotta d’immagine, di slogan che si alimentano di luoghi comuni: la casta, lo spreco, i tagli… Magari bastasse questo…Mi vengono in mente le monetine scagliate contro Craxi, Mani Pulite… Sembra di essere tornati indietro di vent’anni… cerchiamo di guardare avanti, di immaginare il futuro… A me sembra sempre possibile un Italia che riprenda a crescere partendo dalle ricchezze che le sono rimaste – la tradizione culturale, i monumenti, le città, il paesaggio – e da quelle che può riacquistare, l’Università, la Ricerca, il Design, l’Architettura, il Teatro, il Cinema, il made in Italy, lo sport… Senza progetto non c’è responsabilità, non basta bruciare il passato…».

Caro Renato, ci manchi, manca una testa come la tua a questo paese bello e bastardo, speriamo che questa tua biblioteca eclettica viva e dia vita e alimento a tanti nuovi cervelli che ci servono più del pane.

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