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Le due stagioni del marketing Usa

Le due stagioni del marketing Usa

Box Office Tra Oscar e blockbuster, la strategia poco diversificata che vale per le uscite americane di tutti i film. Anche se si grida alla catastrofe

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 24 novembre 2015

È terribile, una carneficina», mi diceva inorridita il capo della distribuzione internazionale di uno studio. «Una follia. Come si fa a buttare via i film in questo modo?», scuoteva la testa un agente della UTA. Per l’ex direttore di Variety, Peter Bart, in un editoriale: «È colpa delle nuove serie tv».
A Hollywood, quando dal botteghino arrivano brutte notizie è un lutto per tutti. E quest’autunno – dopo un’estate quasi da record (la seconda migliore nella storia) di brutte notizie ne sono arrivate tante.

 
Un’infornata di film «di prestigio» posizionati per gli Oscar ha fatto clamorosamente flop. Tra questi, per citare solo i titoli di maggior profilo: The Walk di Bob Zemeckis (il peggior incasso del regista di Ritorno al futuro), Steve Jobs di Danny Boyle (uno smacco terribile per Aaron Sorkin e Scott Rudin dopo il successo di The Social Network) e Our Brand Is Crisis di David Gordon Green (il minor numero di biglietti venduti per un film con Sandra Bullock).

 

 

Anche lo sgargiante Crimson Peak di Guillermo Del Toro ha dato risultati deludenti, e il mood è così depresso che persino i 101 milioni incassati da Mockingjay Part 2 (Il canto della rivolta parte 2) solo in America questo week end sono stati giudicati «pochi». Ci sono parecchie teorie che spiegano quello che sta succedendo. A parte quella di Bart, che punta il dito alla televisione di qualità, e i soliti che danno la colpa ai supereroi che lobotomizzano il pubblico, si parla di cannibalismo – troppi film distribuiti in un periodo troppo limitato. Perché non aspettare gennaio o febbraio, quando l’uscita di un film interessante è da festeggiare?

 
Il problema è che oggi, gli uffici marketing, e i giornalisti che spesso fanno loro da megafono, funzionano solo sue due marce: quella del blockbuster e quella dell’Oscar, e due stagioni su cui puntare tutto. Finita è l’arte di trattare un film come un oggetto specifico, con un suo percorso autonomo che potrebbe riservare delle sorprese nel momento in cui si innesca il rapporto con il pubblico. Il suo destino è precotto in una della due categorie.

 
Quest’estate Del Toro ha fatto i salti mortali per convincere i suoi produttori/distributori che Crimson Peak era un film personale, un mix di generi che avrebbe confuso i fan dell’horror. Nessuno gli ha dato retta e il suo melò colto, grondante di sangue, è finito in pasto al pubblico sbagliato, che gli ha preferito l’insipida ma divertente horror comedy Goosebumps, con Jack Black. «Vendere» un film, come scriverne, e un lavoro delicato, di dettaglio – a prescindere dai meriti dell’oggetto. Belli o brutti che siano, non ammazziamoli in partenza – per avidità, pigrizia, o perché abbiamo perso la voglia di essere curiosi.

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