Le domande inevase sulle armi chimiche al porto di Gioia
Calabria Bonino: «Sarà la più grande operazione di disarmo degli ultimi 10 anni», ma la gestione appare superficiale
Calabria Bonino: «Sarà la più grande operazione di disarmo degli ultimi 10 anni», ma la gestione appare superficiale
Ora che il dilemma è stato risolto e, come anticipato ieri dal manifesto, la scelta, con colpevole ritardo, alla fine della fiera è caduta su Gioia Tauro, le domande restano. E sono quelle più inquietanti. È garantito il livello minimo di sicurezza a lavoratori e popolazione? Perché è stata scelta Gioia Tauro, porto civile e non militare? Benché la notizia in via riservata circolasse da un pezzo, perché non sono stati informati per tempo le autorità locali e i rappresentanti delle maestranze? Visto e considerato che l’hub gioiese è notoriamente un porto colabrodo per il traffico di coca, chi garantisce che la ‘ndrangheta non si infiltri nella delicata operazione di transhipment, appropriandosi di pericolosissime armi chimiche? Domande. In un mosaico che si infittisce sempre più. I ministri competenti, Bonino, Mauro e Lupi, tessono le fila. E la popolazione, come sempre, subisce. Le parole del titolare di Infrastrutture e Trasporti non aiutano certo a rasserenare il clima. «Il trasbordo delle armi chimiche siriane da un cargo danese alla nave Usa Cape Ray avverrà da nave a nave, mediante la movimentazione di 60 container con appositi rotabili e quindi senza lo stoccaggio dei container a terra» ha dichiarato Lupi di fronte alle Commissioni congiunte Esteri e Difesa. Salvo poi, udite udite, affermare che: «Gli agenti chimici che transiteranno per il porto di Gioia Tauro rientrano in classi di prodotti che vengono trasportati ogni giorno in Italia. Sono prodotti pericolosi, ma di una pericolosità normale». Insomma, nella neolingua dell’ineffabile ministro ciellino, abbiamo scoperto che c’è una pericolosità «normale» delle testate chimiche. Bonino, bontà sua, afferma: «Sarà la più grande operazione di disarmo degli ultimi 10 anni». Di sicuro le premesse sinora parlano di una gestione superficiale della procedura. «Ad oggi non c’è stato fornito alcun piano d’emergenza» dice al manifesto Carmelo Cozza, segretario dei portuali del Sul, mentre partecipa ad una riunione d’urgenza convocata in Capitaneria. Insomma, un ritardo colossale, per una delicatissima operazione di trasbordo. «Chiediamo, come hanno già fatto i sindaci della Piana, che durante la giornata del transhipment il porto venga chiuso».
Ma Lupi non vuol saperne. E a stretto giro risponde: «Il porto di Gioia Tauro non chiuderà altrimenti occorrerebbe farlo per le operazioni analoghe che vi si svolgono tutto l’anno. Anche in questo preciso momento si sta lavorando a materiali chimici nello scalo calabrese». La gola profonda del ministro, insomma, ieri pomeriggio era in vena di curiose rivelazioni. Misteri su misteri. «Ma finora nemmeno uno straccio di relazione tecnica abbiamo potuto consultare» incalza Cozza. «In questo territorio hanno insediato di tutto, da un inceneritore ad un rigassificatore e una centrale turbogas. Adesso persino un arsenale chimico. Ma di sviluppo non se ne parla. Attendiamo che il Governo sblocchi il disegno di legge sulla Zes per creare condizioni favorevoli in termini doganali, fiscali, finanziari e amministrativi per le aziende internazionali che svolgono attività logistica o industriale, per quindi promuovere lo sviluppo economico e l’occupazione».
Anche gli attivisti del locale Comitato No Rigas insorgono: «È un’altra resa della politica a qualsiasi istanza provenga dall’alto. In quest’area è situato un inceneritore e ben presto insedieranno un gigantesco rigassificatore. Oltre all’infame tendopoli per migranti non lontana da qui. Adesso queste tonnellate di veleni stipate a bordo dei cargo. Siamo una colonia e una pattumiera. Tutto ciò in una zona altamente sismica e la politica è complice e collusa». Scopelliti, il presidente della Regione, nel cerchio magico di Alfano, la notizia la sapeva sin dal 7 gennaio, ma la teneva nascosta, forse per vergogna. Era il pegno da pagare per far carriera nel centrodestra, tra Roma, Reggio e Bruxelles.
Intanto, il cargo danese continua a solcare il Mediterraneo, in attesa di entrare in acque italiane. L’arsenale si trova attualmente depositato in circa 1.500 container sulla Ark Futura che farà scalo a Gioia per poi trasbordarlo sulla Cape Ray, l’unità americana, addestrata a Portsmouth, in Virginia, e attrezzata a distruggere il carico di testate con l’idrolisi. Non è ancora chiaro, invece, dove avverrà la distruzione, se nel Mediterraneo o nell’ Oceano Atlantico. Uno dei tanti misteri, nel muro di gomma di questa delicata operazione. Dopo la trasformazione il residuo liquido verrà portato in una ignota destinazione finale dove avverrà lo stoccaggio. Intanto, a sera, l’imboccatura del porto si riempie di gente per il presidio, convocato dai sindaci e da qualche volenteroso politico. I lavoratori arrivano alla spicciolata. Nessuna azione eclatante.
Anche la minaccia adombrata dai sindaci di chiudere il porto non scalfisce più di tanto. C’è più rassegnazione che rabbia. Un film già visto a queste latitudini.
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