Le crociate, un evento composito e globale
Scaffale Due recenti saggi ne restituiscono tutta la complessità. "Le crociate. L’idea, la storia, il mito" di Antonio Musarra (il Mulino) e "Federico II e la crociata della pace" di Fulvio Delle Donne (Carocci)
Scaffale Due recenti saggi ne restituiscono tutta la complessità. "Le crociate. L’idea, la storia, il mito" di Antonio Musarra (il Mulino) e "Federico II e la crociata della pace" di Fulvio Delle Donne (Carocci)
Negli ultimi vent’anni le crociate sono tornare di moda, tra fraintendimenti su scenari di «scontri di civiltà» e una rinascita del dibattito sul ruolo delle religioni nella storia. Allora ben vengano studi che spiegano come le crociate non furono né scontri di civiltà né guerre di religione, ma un fenomeno ben più complesso; soprattutto, bisogna che questi studi siano anche piacevoli da leggere pur restando molto ben documentati.
È IL CASO DEL LIBRO di Antonio Musarra, Le crociate. L’idea, la storia, il mito (il Mulino, pp. 334, euro 24), un testo che si presta bene come sintesi del tema adatta sia ad un corso universitario, sia al desiderio legittimo di un lettore semplicemente interessato ad avere un quadro aggiornato. Musarra combina un approccio problematico con uno narrativo; non rifugge infatti dai nodi chiave, soprattutto nella prima sezione (dedicata a «L’idea»), per poi passare a una narrazione degli eventi principali («La storia»). Chiude la parte dedicata al «mito», e dunque alle fortune alterne della crociata che diviene oggetto storiografico così come strumento polemico.
Il libro per fortuna rifugge, anche nella parte più narrativa, alla mera elencazione numerica (la prima crociata, la seconda… e così via) che affligge purtroppo una parte della produzione sul tema; e riesce nel giro di un numero relativamente ridotto di pagine a presentare punti di vista vari. A completare l’opera, una bibliografia ragionata e un’utile cronologia. Dal testo emerge bene la complessità del tema; quelle che noi chiamiamo complessivamente «crociate» furono una serie di azioni e imprese che non rispondevano sempre a una logica unica e costante, come un processo architettato e poi dipanatosi nel tempo.
INTORNO AD ALCUNI CONCETTI chiave (come la presa del Santo Sepolcro) vi erano interessi e agenzie diverse: il papato, l’impero, le corone (soprattutto inglese e francese), le città con i loro commerci; c’è anche una diversità territoriale, poiché le mire di conquista si allargarono ben oltre la sola Gerusalemme.
Pensiamo alla crociata dei veneziani, come la chiama Musarra, che finì con la presa di Costantinopoli; oppure al re crociato e poi canonizzato, san Luigi IX di Francia, che mirò all’Egitto e alla Tunisia, pur avendo il Santo Sepolcro come obiettivo. Federico II di Svevia, in spregio al papato che si attendeva ben altro da lui, mise in atto una crociata diplomatica che si concluse con l’accrescimento dei suoi poteri e delle sue corone.
A mo’ di digressione su questo tema si può leggere un altro libro recente scritto da Fulvio Delle Donne, Federico II e la crociata della pace (Carocci, pp. 159, euro 15). Nel 1228, Federico II, che già aveva saputo guadagnarsi in Terra Santa solidi diritti dinastici sposando l’ereditiera della corona di Gerusalemme, Isabella-Iolanda di Brienne, si presentò in Palestina come legittimo pretendente al trono; invece di far guerra al sultano d’Egitto Malik Al-Kamil (che controllava l’area fino alla Siria), nipote del Saladino, con il quale aveva sempre avuto buoni rapporti diplomatici, stipulò una pace: un trattato in base al quale Gerusalemme gli veniva ceduta, priva di mura (a sottolinearne il carattere non belligerante e aperto alle diverse fedi), con l’esclusione dell’area della moschea di Umar, vale a dire del Haram esh-Sherif, la «Spianata del Tempio».
E fu in Gerusalemme, nella cappella del Calvario della basilica della Resurrezione – in deroga alla tradizione, secondo la quale i re crociati di Gerusalemme venivano consacrati nella basilica della Natività di Betlemme – che egli cinse solennemente la corona di quel regno (1229), nonostante l’opposizione del clero. Anche il libro di Delle Donne si chiude con una rivisitazione del mito, in questo caso federiciano oltre che crociato: un tema sul quale l’autore si è speso già in passato richiamando alla necessità di non cedere al travisamento di un «Federico pacifista» o «amico dell’Islam», perché tali banalizzazioni non aiutano a comprendere né il tempo passato, né quello presente.
È IMPORTANTE NOTARE, come fanno entrambi gli autori, che la vitalità del tema crociato, che sotto il profilo storiografico è certamente un bene, spesso nasce da attese contemporanee che cercano nel passato la giustificazione per le azioni del presente e che, così facendo, ne offrono una visione deformata. Le crociate. L’idea, la storia, il mito e Federico II e la crociata della pace aiutano al contrario a rimettere il dibattito sui giusti binari: è già questo è un risultato esemplare.
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