Una decina di giorni fa Banca d’Italia ha pubblicato il primo rapporto su «I conti distributivi sulla ricchezza delle famiglie». Spiace che non sia stato ripreso con la dovuta attenzione dai mezzi di comunicazione.

Il rapporto contiene nuove statistiche sperimentali coordinate dalla Bce e compilate dalle banche centrali nazionali, combinando molteplici informazioni sulla distribuzione della ricchezza e armonizzando conti finanziari e di attività non finanziarie delle famiglie che danno come risultato la ricchezza netta.
Senza entrare nei dettagli delle metodologie adottate, lo studio costituisce una bella radiografia della distribuzione della ricchezza effettiva detenuta in Italia paragonata, inoltre, agli altri paesi dell’euro. I dati sono aggiornati alla fine del 2022, la popolazione suddivisa in tre aree. La prima fascia comprende il 50% più povero, la seconda tra il 50° e il 90° percentile, l’ultima tiene insieme il 10% più ricco. La metà della ricchezza degli italiani è rappresentata dalle abitazioni, ma con un peso specifico fortemente polarizzato su base gerarchica. Infatti, tale valore costituisce il 75% della ricchezza complessiva per la fascia più povera, meno del 70% per quella intermedia e poco più del 35% per quella più ricca.

Quando poi, in seguito alla crisi del 2008, il valore delle case è fortemente diminuito si è affermato il paradosso che per la metà più povera l’incidenza dell’abitazione è aumentata dal 70 al 74% del rispettivo portafoglio complessivo, mentre per la classe intermedia si è ridotta dal 71 al 67% e addirittura per quella più ricca dal 41 al 35%. A indicare come la classe più povera abbia subito un processo di pauperizzazione che andava ben al di là degli andamenti del mercato immobiliare. Nonostante la riduzione del valore delle abitazioni dopo il 2007, infatti, l’incidenza è aumentata per la fascia più povera. Ciò è spiegabile solo in virtù di una riduzione della ricchezza complessiva, mentre per le altre fasce la riduzione dei prezzi immobiliari ha coerentemente ridotto l’incidenza sulla ricchezza totale. Per la classe più ricca il portafoglio finanziario, poi, è decisamente più diversificato e quasi un terzo della ricchezza finanziaria è dato da capitale di rischio legato a produzioni (azioni, partecipazioni, ecc.) e un quinto da fondi comuni di investimento e polizze assicurative.

I principali indici di disuguaglianza sono pressoché rimasti invariati tra il 2017 e il 2022 dopo esser aumentati tra il 2010 e il 2016. Complessivamente tra il 2010 e il 2022 la ricchezza detenuta dal 5% più ricco è passata dal 40 al 46%, mentre il 50% più povero ne detiene solamente l’8%. Consola poco che la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza in Italia sia più bassa della media europea (inferiore alla Francia, ma superiore alla Germania) in quanto la tendenza alla polarizzazione è globale.

Si pensi che tra 2021 e 2022 il patrimonio dei 5 uomini più ricchi è raddoppiato, mentre quello dei 5 miliardi più poveri della popolazione è rimasto invariato. Complessivamente i dati Banca d’Italia esprimono la stessa dinamica dell’ultimo rapporto Oxfam, il quale afferma che in Italia nel 2022 l’1% più ricco della popolazione deteneva il 23% della ricchezza pari a 84 volte quello del 20% più povero. Dall’inizio della pandemia a novembre del 2023 il numero dei miliardari italiani è passato da 36 a 63 unità.

Le politiche europee hanno prodotto negli ultimi 15 anni poca crescita, tanto debito pubblico e maggiore disuguaglianza. Un fallimento che non sembra cambiare l’agenda dell’Unione, tantomeno quella italiana, anche per l’assenza di una forza politica decisa a impegnarsi nel tentativo di ricomporre e rappresentare quel 50% più povero e una fetta significativa della fascia intermedia che subiscono la medesima sorte di impoverimento.