Per i suoi creativi novant’anni, compiuti il 24 agosto, Gabriella Benedini ha donato alle Gallerie d’Italia di Milano (visitabile fino a domenica 6), una delle più belle antologie della sua opera, scelta nella produzione degli ultimi trent’anni. Athanor, a cura di Paolo Bolpagni, è il titolo della mostra e, secondo la stessa artista, si riferisce «a un antico strumento, una specie di mistico fornello dove gli alchimisti fondevano o, meglio, trasmutavano i loro metalli» (vi è pure l’ascendenza da un racconto di Borges, le cui invenzioni letterarie ispirano Benedini).
PROPRIO IL VIAGGIO, fisico e immateriale è tratto imprescindibile della sua poetica. Ha viaggiato molto in Africa e Medio Oriente e prima della precaria e sfuggente contemporaneità. E ha osservato i popoli di quelle regioni, precedendo le guerre che ne hanno deturpato i territori. In reazione, nascono le Arpe e le Vele. Dunque, la denuncia delle innumerevoli ingiustizie del pianeta entra nel mondo di Benedini; d’altronde già negli anni ’70 l’artista realizzò alcuni site-specific, anche filmati, che attiravano l’attenzione verso problematiche ecologiche agli inizi e in anticipo sulle urgenze climatiche attuali.
Ecco il dorflesiano virtuoso intreccio di «natura e artificio». Ma, è un’opera, l’ultima ad aprire un ulteriore passaggio, per ora impercettibile nel suo itinerario cronologico: è la Biblioteca (ed è convocato nuovamente Borges a traghettare la letteratura verso l’arte).
MONUMENTALE e monolitico per l’incombente presenza, questo blocco color Gris de Payne, contiene nei suoi scaffali trecentosessanta libri: derivati da altri libri e da altre letture ma poi costituiti collana a sé e prerogativa assoluta della scultrice come possibile biografia per procura da offrire ai visitatori e di ciò che può apparire come «una pluralità che non vuole essere solo formale o estetica»