Per i suoi creativi novant’anni, compiuti il 24 agosto, Gabriella Benedini ha donato alle Gallerie d’Italia di Milano (visitabile fino a domenica 6), una delle più belle antologie della sua opera, scelta nella produzione degli ultimi trent’anni. Athanor, a cura di Paolo Bolpagni, è il titolo della mostra e, secondo la stessa artista, si riferisce «a un antico strumento, una specie di mistico fornello dove gli alchimisti fondevano o, meglio, trasmutavano i loro metalli» (vi è pure l’ascendenza da un racconto di Borges, le cui invenzioni letterarie ispirano Benedini).

FOLGORATA a Ferrara dalla vista dello Zodiaco di Palazzo Schifanoia, allontanatasi definitivamente dalle esperienze precedenti (che però storicizza), l’artista cremonese fa sì che una percezione di sostanze alchemiche circonfonda il suo lavoro. Cieli e costellazioni astrologiche si leggono nell’uso di colori primitivi: gli azzurri, i grigi, i neri, l’ocra e il bianco delle sculture. Il suo studio di Porta Romana è emanazione di tali odori e visioni: non più solo laboratorio di fantasia e creatività, ma autentica navicella «senza orologio e dentro il tempo». Come si titola la sua autobiografia, uscita tra i due lockdown del 2021.

PROPRIO IL VIAGGIO, fisico e immateriale è tratto imprescindibile della sua poetica. Ha viaggiato molto in Africa e Medio Oriente e prima della precaria e sfuggente contemporaneità. E ha osservato i popoli di quelle regioni, precedendo le guerre che ne hanno deturpato i territori. In reazione, nascono le Arpe e le Vele. Dunque, la denuncia delle innumerevoli ingiustizie del pianeta entra nel mondo di Benedini; d’altronde già negli anni ’70 l’artista realizzò alcuni site-specific, anche filmati, che attiravano l’attenzione verso problematiche ecologiche agli inizi e in anticipo sulle urgenze climatiche attuali.
Ecco il dorflesiano virtuoso intreccio di «natura e artificio». Ma, è un’opera, l’ultima ad aprire un ulteriore passaggio, per ora impercettibile nel suo itinerario cronologico: è la Biblioteca (ed è convocato nuovamente Borges a traghettare la letteratura verso l’arte).

MONUMENTALE e monolitico per l’incombente presenza, questo blocco color Gris de Payne, contiene nei suoi scaffali trecentosessanta libri: derivati da altri libri e da altre letture ma poi costituiti collana a sé e prerogativa assoluta della scultrice come possibile biografia per procura da offrire ai visitatori e di ciò che può apparire come «una pluralità che non vuole essere solo formale o estetica»