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Le correzioni del decreto, il valore della critica

Le correzioni del decreto, il valore della critica

Virus e costituzione I decreti legge con cui è stata gestita l'emergenza sono al limite della legalità costituzionale. L'ultimo tenta di porre rimedio entrando nel dettaglio delle misure senza accennare a ulteriori e non specificate deleghe.

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 28 marzo 2020

L’ultimo decreto legge rappresenta un tentativo di superare le criticità che hanno caratterizzato i provvedimenti con cui, a livello nazionale e locale, è stata gestita l’emergenza Covid-19. Fino ad oggi la situazione era per alcuni versi ai limiti della legalità costituzionale e per altri versi molto confusa.

Dal primo punto di vista, pur non negando di trovarci di fronte ad una situazione difficile e complessa di cui bisogna tenere conto, è comunque necessario affermare chiaramente che alcune torsioni costituzionali si sono verificate. I principi in gioco erano molti: da un lato il diritto alla salute – inteso sia come diritto individuale che come interesse della collettività – e alla vita stessa delle persone; dall’altro la libertà di circolazione, di riunione, religiosa e finanche quella personale, oltre al diritto all’istruzione e di iniziativa economica.

In quanto diritti fondamentali, era necessario trovare un loro bilanciamento, in modo tale che il sacrificio di uno o più diritti per garantire gli altri fosse proporzionato e giustificato. La Costituzione riserva questo potere alla legge e agli atti aventi forza di legge. In alcuni casi la legge può stabilire anche solo in via generale le ipotesi di limitazione, demandandone la specificazione all’autorità amministrativa.

La grande criticità del precedente decreto legge di riferimento (n. 6/2020) consisteva nella clausola aperta contenuta nell’articolo 2, che permetteva l’adozione tramite Dpcm di «ulteriori misure» rispetto a quelle elencate nel decreto stesso. In questo modo si sono limitati significativamente i diritti fondamentali senza alcun coinvolgimento delle forze di opposizione. La ragione della riserva di legge consiste infatti nel far sì che certe decisioni siano prese dal parlamento, che rappresenta il popolo e che concretizza la sua volontà. Gli atti secondari invece non hanno la stessa legittimazione, perché non sono adottati dai nostri rappresentanti dopo un dibattito che assicura che anche le minoranze possano esprimere il proprio punto di vista, ma dal governo, che è espressione di una sola parte. Nel caso dei Dpcm l’adozione non è neanche del governo, ma del solo presidente del Consiglio, che agisce come uomo solo al comando.

Il nuovo decreto legge (n. 19/2020) supera queste criticità prevedendo un elenco dettagliato delle misure adottabili ed eliminando ogni delega generica. Inoltre prevede che il presidente del Consiglio (o un ministro delegato) riferisca ogni quindi giorni al parlamento sulle misure adottate, con ciò instaurando un dialogo continuo anche con le opposizioni. La predetta delega in bianco, che era stata conferita alle «autorità competenti» aveva comportato che oltre ai Dpcm erano state adottate – in ordine sparso e talora confliggente – ordinanze del ministro della salute, dei presidenti di regione e dei sindaci. Ciò aveva determinato una situazione caotica in cui la molti cittadini non erano in grado di comprendere cosa fosse permesso fare una volta usciti di casa, con buona pace dei principi affermati dalla Corte costituzionale di conoscibilità del precetto legale e prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie. Anche in questo caso l’intervento del nuovo decreto si fa carico di superare tali problematicità, prevedendo che sia l’autorità centrale a dover intervenire.

Le regioni possono infatti adottare ordinanze solo nelle more dell’emanazione dei Dpcm e solo nell’ambito delle attività di loro competenza. I sindaci non possono più adottare misure contrastanti con la normativa statale. Infine, la previsione di sanzioni amministrative in luogo di quelle penali supera il problema della possibile violazione dell’articolo 25 Cost., a norma del quale “nessuno può essere punito se non in forza di una legge”. L’adozione di quest’ultimo decreto dimostra che anche – e forse soprattutto – nei momenti di crisi è importante che la soglia critica rimanga elevata, in modo tale che chi detiene il potere possa correggere la propria azione se essa si allontana dal dettato costituzionale.

 

*L’autrice è giudice del tribunale diTorino e fa parte dell’esecutivo di Magistratura democratica

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