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Le contromisure per allontanare la deflazione

Le contromisure per allontanare la deflazione

Economia C'è il serio rischio di essere davanti a una «deflazione cattiva», capace di innescare una spirale perversa che termina con licenziamenti e crisi

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 16 settembre 2020

Com’era prevedibile – non tutti gli analisti economici concordavano però su questa previsione – la «crisi dal lato dell’offerta e dal lato della domanda» sta sempre più virando verso una classica crisi di domanda. A confermarlo, adesso, c’è anche l’ultima stima dell’Istat sui prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic). Aumento fiacco dello 0,3% su base mensile e diminuzione dello 0,5% su base annua (da -0,4% del mese precedente), ad agosto, inflazione «acquisita» per il 2020 pari a zero.

 

Non è ancora la deflazione ma ci siamo vicini. Ma come, direbbe l’amico incontrato al bar: i prezzi scendono e voi state qui a preoccuparvi? Beh, il problema sta nel perché i prezzi scendono. Una cosa è il calo del prezzo di un bene perché sono diminuiti i costi per produrlo, altra cosa è se questo calo è dovuto ad un livello di domanda insufficiente, perché non ci sono soldi che circolano. Non a caso si parla di «deflazione buona» e di «deflazione cattiva».

Perché «cattiva»? Perché rischia di innescare una spirale perversa: il produttore riduce ancora di più i prezzi pensando che in questo modo venderà più facilmente la sua merce, ma si scontra con il calcolo del consumatore, che rinvia alcune spese sperando che i prezzi scendano ulteriormente. Un gioco che il più delle volte si chiude con un’ondata di licenziamenti e con l’ingresso di un paese in una crisi molto più profonda.

Cosa fare per scongiurare un simile scenario? Se all’origine della deflazione c’è una domanda insufficiente, bisogna intervenire sulle cause della stessa. Nello specifico, non si può trascurare il fatto che nel secondo trimestre di quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria e del confinamento, gli occupati sono scesi di 470 mila unità rispetto al primo trimestre (-2%) e di 841 mila unità rispetto al secondo trimestre 2019 (-3,6%), mentre gli inattivi tra i 15 e i 64 anni, quelli che un lavoro non ce l’hanno né lo cercano, sono aumentati in un anno di un milione e 300 mila unità (+10%).

Meno lavoro, meno reddito, meno domanda. È del tutto evidente, quindi, che l’unica politica in grado di rimettere in equilibrio il sistema è quella che punta ad un aumento dell’occupazione e del potere d’acquisto delle famiglie. Ma come? Tagliando tasse e contributi alle imprese? È una strada già battuta abbondantemente in questi anni, che non ha fatto conseguire risultati apprezzabili alla nostra economia.

In una economia europea stagnante, la nostra era più stagnante delle altre già prima che sul mondo si abbattesse il flagello del coronavirus. Nonostante i miliardi dirottati verso le imprese sotto forma di sussidi, sgravi ed agevolazioni. Un fallimento per il Paese, manna per capitalisti e supermanager, che in questi anni di crisi e stagnazione non solo sono riusciti a tutelare i propri patrimoni ma anche ad incrementarne la consistenza, notevolmente, sfacciatamente.

I numeri del disastro sociale sono noti: negli ultimi vent’anni la fetta di ricchezza in mano al 10% più ricco della popolazione è cresciuta dell’8%, mentre quella della metà più povera è crollata del 37%. Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri.

Sarebbe venuto il momento di cambiare registro. Si può aiutare l’economia investendo nella giustizia sociale e nei diritti. Una società più equa per un’economia più solida, con un ruolo fondamentale dello Stato. Per ricostruire un tessuto di imprese pubbliche, per un rilancio degli investimenti, per un grande piano di assunzioni in settori strategici (sanità, scuola, ricerca, ambiente), per redistribuire la ricchezza prodotta nel Paese attraverso una maggiore progressività dell’imposizione fiscale.

Ne guadagnerebbero anche le piccole e medie imprese, il cui problema, adesso, non è quanto produrre ma quanti prodotti si riescono a vendere. Insomma, se fuori dai loro laboratori o capannoni ci sono persone con i soldi in tasca, perché con tasse più leggere, ma senza clienti, rischiano di chiudere lo stesso.

Tutto questo, nondimeno, sarà difficile che si verificherà se a rimanere in campo resterà una sola voce: quella dei padroni delle imprese.

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