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Le contraddizioni tra il compagno Letta e noi…

In una parola

In una parola Spesso i fenomeni politici non si lasciano incasellare così facilmente

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 16 marzo 2021

Ricordi di gioventù: quando i “compagni cinesi” criticavano, anche giustamente, l’autoritarismo burocratico dei comunisti sovietici e il loro comportamento un po’ “socialimperialista”, ma volevano distinguersi dalle critiche, per certi versi simili, del “revisionista” Togliatti con la sua inaccettabile “via italiana” al socialismo. Lunghissimi documenti sui punti che distinguevano una “linea” dall’altra, in un contesto in cui la supposta unità del mondo anticapitalista già veniva sfarinandosi, a dir poco.

Dispute ideologiche che mi sono venute in mente forse perché il bisogno di definire e incasellare rigidamente i fenomeni politici sono una specie di tic dalle parti di ciò che resta della sinistra? L’elezione di Enrico Letta alla segreteria del Pd – qualcuno può davvero dire di averla prevista quando si è capito che Zingaretti non intendeva rimangiarsi le dimissioni? – è stata in alcune analisi subito etichettata come un secondo capitolo assolutamente coerente con l’arrivo – questo invece messo nel conto e da più d’uno invocato – di Draghi al governo del paese. Una sorta di “cupola” di osservanza neoliberista europea, a garanzia della nuova disciplina imposta dalla pandemia e dalla scelta di un certo capitalismo di disporsi a una riconversione verde-digitale che naturalmente non deve cambiarne più di tanto sostanza, logica, e assetti di potere. Un ulteriore “spostamento a destra”.

Probabilmente c’è molto di vero. Ma siamo sicuri che sia tutto così organicamente definito? Assieme alle reminiscenze dell’estremismo giovanile (sempre piuttosto moderato…) non mi libero delle abitudini dell’ex cronista politico, quindi domenica ho ascoltato tutto il discorso di Letta. Oso dire che ha detto anche cose che considero “di sinistra”, come invocare la legge (ius soli) per la cittadinanza degli stranieri, la progressività del sistema fiscale, e anche l’idea di una radicalità che si dimostri nei comportamenti personali.

Certo non ci si può aspettare dal discepolo di Beniamino Andreatta – né, in genere, dal Pd – un critica radicale del capitalismo. Ma perché escludere che gli anni parigini del prof. Enrico (che a proposito del suo nome di battesimo ha anche evocato il comunista Berlinguer) abbiano davvero cambiato in meglio il navigato giovane democristiano che conoscevamo al tempo della congiura renziana (senza dimenticare che fu tutto il Pd a convenire sulla sua destituzione)?

Ho visto più di una volta, fino a venerdì scorso, certe spiritose comparse di Letta a Propaganda Live, la trasmissione animata da “Zoro”.
Anche la sua capacità di autoironia la classificherei come una cosa quasi di sinistra. Gli auguro di non perderla ora che veste di nuovo i panni di un politico di professione.

Insomma non escluderei, per farla breve, che questo rapido imprevisto cambio delle carte al vertice del Pd, mentre anche nel resto della ex maggioranza molte scosse si producono in un modo e nell’altro, possa anche aprire uno scenario con qualche opportunità dal punto di vista di chi si colloca rigorosamente alla sinistra dell’uomo tornato da Parigi a raccogliere i cocci del Pd.

Da sinistra bisognerebbe dimostrare, oltre alla radicalità dei comportamenti personali – che spesso si dimenticano – anche la forza di una (nuova) visione alternativa, in radice appunto, allo stato di cose presente. Senza dimenticare – e qui ripeto qualcosa di già scritto – che il vecchio giovanissimo Marx insieme all’amico Engels raccomandava una “politica delle alleanze” ai rivoluzionari nel 1848: “….i comunisti lavorano dappertutto al collegamento e all’intesa dei partiti democratici di tutti i paesi”. Senza per questo venire meno alla loro scelta rivoluzionaria.

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