Il governo Draghi è caduto, il congresso della Cgil è rinviato, il Pd sembra riorientarsi velocemente dal campo largo di cui avrebbe dovuto essere l’asse portante al campo più esplicitamente neoliberista, con pezzi da novanta come Brunetta e Gelmini che annunciano l’ingresso in Azione, il gruppo di Carlo Calenda.
Anche la Cgil, seppure con degli argomenti propri, si era unita nei giorni scorsi al coro degli appelli “senza precedenti e impossibile da ignorare” che hanno percosso il Paese.

Un coro trasversalissimo che ha echeggiato dai padroni ai clochard.
Non si può scioperare contro un governo che non c’è, si è detto, ma ora che si fa?
Nelle dichiarazioni rese alla Camera Draghi ha pronunciato la parola sindacati due volte: la prima per rivendicare l’esistenza di un metodo di lavoro condiviso con il governo sin dall’inizio, e la seconda per affermare la condivisione sull’alleggerimento del carico fiscale sui salari più bassi come obiettivo di medio termine, annunciando a breve altri interventi spot.

Del reddito di cittadinanza, il presidente del consiglio ha detto che “bisogna ridurne gli effetti negativi sul mercato del lavoro”, una affermazione che pesa come un macigno, legittimando le infinite e penose lagne di tutti quelli che non trovavano più camerieri, bagnini o commessi.
Dobbiamo ammetterlo, più che a chi ritiene che il reddito di cittadinanza abbia avuto piccoli effetti di riequilibrio del mercato del lavoro il sindacato ha come riferimento chi, in contrapposizione al reddito di cittadinanza che avrebbe problematici effetti finanziari e di etica economica, sostiene la tesi del lavoro di cittadinanza (quello sì che sarebbe facile da mettere in piedi!).

E sul salario minimo, aveva rassicurato Draghi, si procederà in accordo con le rappresentanze sindacali, che sarebbe stata, questa sì, cosa buona e giusta, perché dove c’è sindacato e dove il sindacato è forte, i dati sono innegabili, le condizioni economiche e sociali delle fasce più deboli sono migliori.
Ma suvvia diciamolo, a meno di non voler essere proprio ipocriti, il salario minimo stabilito per legge ha costituito per anni un bel problema per il sindacato, che solo gradualmente e spinto dagli eventi ha rivisto su questo le proprie posizioni, e con molti distinguo.
Nel documento congressuale della Cgil, poi, le parole capitale o capitalismo non compaiono mai, compare una sola volta l’espressione “capitalismi esteri”. La politica ha abbandonato il lavoro, hanno detto più voci della Cgil nei giorni scorsi, ma la cinghia di trasmissione si è spezzata del tutto o ha prodotto qualche effetto di mutazione reciproca?

Il rapporto tra i gemelli siamesi, come li chiamava Luigi Agostini, tra la sinistra e il sindacato, che effetti ha avuto sul sindacato negli anni del neoliberismo? Proprio nessuno? La blairizzazione della sinistra non ha contagiato qualche organo interno del sindacato? Possibile che mentre si approva un ordine del giorno che proclama la mobilitazione per difendere un Servizio Sanitario nazionale più martoriato che mai quasi in contemporanea, si tenga un convegno che teorizza una sanità integrativa che favorirebbe lo sviluppo del suddetto martoriato Ssn; e che ancora si firmino rinnovi di contratti collettivi nazionali di lavoro (ccnl) che prevedono conferimenti economici ai soli lavoratori iscritti ai fondi previdenza complementari?

Il congresso è rinviato, la discussione si farà, ma quando si parlerà degli elefanti che si aggirano nei corridoi della nostra amata e preziosa Cgil, della bilateralità, del numero crescente di dirigenti che non vengono dai posti di lavoro, del conformismo pesantissimo che sta spegnendo quello che fino a tempi recentissimi è stato il sale e il lievito dell’organizzazione, e cioè il pluralismo?