Le contraddizioni del Novecento in un catalogo di latinisti
Giulio Paolini, Casa di Lucrezio, 1981, coll. priv.
Alias Domenica

Le contraddizioni del Novecento in un catalogo di latinisti

Dizionari bio-bibliografici Da Rostagni a Mariotti, da Marchesi a Paratore, a Traina... I criteri, le scelte e gli assenti del «salesiano» Dizionario dei latinisti italiani del XX secolo (LAS), a cura di Mario Iodice e Roberto Spataro
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 3 aprile 2022

Una prefazione in latino? Così si apre il Dizionario dei latinisti italiani del XX secolo, curato da Mario Iodice e Roberto Spadaro (LAS-Libreria Ateneo Salesiano, pp. 258, € 18,00), che raccoglie, a opera di trenta collaboratori di vario «grado» accademico, i ritratti bio-bibliografici di studiosi italiani attivi nel Novecento. Nella premessa, il latinista e neolatinista Dirk (Teodoricus) Sacré osserva che si tratta di docenti noti non solo in Italia, anzi di rei publicae literatorum quasi lumina quaedam et elementa. Giudizio forse troppo generoso: gli studi classici hanno carattere internazionale, ma non sempre internazionali sono stati gli studiosi nostrani. A molti lavori, soprattutto letterari, tocca diffusione solo nazionale, o addirittura locale. Persino la Letteratura latina di Concetto Marchesi, che occupò per molti decenni un posto di rilievo nella cultura italiana, fuori d’Italia non ebbe certo notevole influenza. Più ampia, in genere, la circolazione delle edizioni di testi, che perciò hanno lasciato fama più estesa a chi le ha curate, mentre non così durevole risulta la nomea sorta da pur lunghi magisteri accademici.

Di fatto, tra i circa cinquanta profili di questo Dizionario, si ritrovano nomi talora familiari, ma si ha occasione anche di incontrare figure più remote (nel tempo, nello spazio, nei temi trattati), o di scoprirne: per esempio, Giuseppe Carboni (1856-1929), l’altra metà del «Campanini-Carboni», il vocabolario di latino con oltre cento anni di servizio. Non c’è però la voce su Giuseppe Campanini (1864-1937), personaggio del quale per altro si conosce pochissimo. Un’assenza che però non stupisce.

L’impostazione di un’opera simile pone infatti problemi complessi. Contro il rischio del gigantismo ingovernabile (si pensi al Dizionario Biografico degli Italiani), la selezione è necessaria. Non si trovano dunque qui i profili di tutti i professori di latino d’Italia, che per altro nel secolo scorso (soprattutto alla fine) erano molto più numerosi di ora, tra Lettere e Magistero, e però (come ora) non erano tutti memorabili. Non da scelta dipende invece la presenza di una sola latinista: non sono state numerose, fino a pochi anni or sono, le colleghe della pavese Enrica Malcovati (1894-1990).

In effetti il libro (di proposito?) non spiega i criteri che l’informano, né definisce chi sia in fondo un «latinista». Si comprende l’impegno a rappresentare le differenti «scuole» regionali (Bologna, Firenze, Napoli, Roma, eccetera) e a delineare qualche «filiazione» accademica (da Ettore Paratore e Cesare Questa e altre). Apparentemente, è privilegiata un’idea di studi latini «letteraria» e «esclusiva», dando meno spazio a chi curò ricerche di filosofia e filologia, ma anche di cristianesimo antico, o estese alla letteratura greca: quindi, ci sono nel Dizionario Augusto Rostagni e Ugo Enrico Paoli, ma non Giorgio Pasquali, per dire. Tra i latinisti esclusi, un pur rapido ripensamento individua nomi di un certo rilievo. Molti di generazioni più risalenti, come Alberto Mocchino (1889-1961), Enrico Turolla (1896-1985), Pietro Ferrarino (1907-1985), Leonardo Ferrero (1915-1965); altri più recenti, come Vincenzo Tandoi (1929-1985), Dante Nardo (1922-1997), Mario Martina (1948-1998), Armando Salvatore (1922-2004), attivi in differenti settori degli studi di latino. E gli esempi si potrebbero moltiplicare. I tempi della vita e della morte spiegano di per sé altre assenze. Enrico Flores (1936-2021) e Giovanni Cipriani (1946-2021) sono scomparsi dopo che il catalogo era già formato: certo al primo, studioso di Ennio, Lucrezio, Manilio, Nevio, e al secondo, interprete di poesia e storiografia latina anche in chiave antropologica, andranno adeguati ricordi e studi. Ancor più recente la morte di Riccardo Scarcia (1939-2022), versatile cultore di letteratura e fine traduttore di Virgilio.

Più che lamentabili assenze, mette conto rilevare un problema, caratteristico di questo genere di opere, ossia taglio e dimensioni delle voci edite. Rigide o flessibili che fossero le direttive editoriali circa la forma da dare al profilo biografico e all’esame dell’opera, gli esiti presentano varietà non solo di misura, ma anche di qualità. Alcuni «ritratti», va detto, sono esemplari: su grandi studiosi quali Marino Barchiesi, Scevola Mariotti e soprattutto Alfonso Traina si leggono spunti notevoli. Altri profili sono forse fin troppo diffusi, per devozione o per ansia di completezza; taluni presentano larghi riassunti di scritti del laudandus, più che critiche messe a punto sul suo contributo agli studi. In un caso almeno l’apparato bibliografico fa sospettare una conoscenza dei materiali solo di seconda mano, vel – ut ita dicam – tralaticiam. Raro, e certo inappropriato alla sede, è il tono agiografico, quale ci si attende forse in una commemorazione funebre del passato («si è spento come una luce: quella stessa luce che Plutarco asseriva esser propria dei maestri che considerano gli allievi non vasi da riempire ma fiaccole da accendere…»). Ma c’è dell’altro.

I latinisti del Novecento non hanno avuto a che fare solo con la coniunctivitis professoria, con le integrazioni difficili dei poeti augustei, con i frammenti di Albinovano Pedone. Sulla loro attività è soffiato talora il vento della «grande storia»: in particolare nei decenni tra le due guerre mondiali. Parecchi studiosi presenti nel libro erano attivi in quegli anni (Castiglioni, Funaioli, Malcovati, Paratore, e altri), sicché del loro rapporto con un regime che imponeva la «romanità» al centro del proprio discorso culturale sarebbe stato doveroso dire, sine ira et studio. Nel concorso a cattedra vinto nel 1940 da Ettore Paratore ed Enrica Malcovati (sorella del combattente Achille), della terna fece parte anche don Luigi Illuminati (1881-1962), studioso schivo, noto per le sue composizioni in latino, e in particolare per il premiato Carmen in Benitum Mussolini Ducem (1930): spiace che non si sia trovato il modo di dedicargli il profilo che meritava, tanto più in un’opera maturata in ambiente salesiano.

Anche l’uso pubblico del latino nel ventennio avrebbe dovuto essere discusso: tonitruanti iscrizioni littorie furono dettate da illustri accademici (compreso Marchesi). Alcuni si impegnarono a tradurre in latino i discorsi di Mussolini: ma nei profili di Paladini, Pighi e Ussani il dato non è evocato: pure, il prefatore del libro ha dedicato alla lingua lictoria pagine interessanti (in latino, certo!). In generale, silenziato è il risvolto politico degli studi: per diffidenza, si direbbe, verso le «ideologie del classicismo». Il rapporto con il fascismo di Marchesi, oggetto di un ampio e recente approfondimento di Luciano Canfora (Il sovversivo, Laterza 2019, non citato), appare trattato in modo non felice: davvero il professore fu «costretto» a giurare nel 1931, e «costretto dai ministri della R.S.I.» a accettare la carica di rettore a Padova nel ’43? Simili punti potevano essere meditati più a fondo. Animato da «senso di riconoscenza» verso i (o, per meglio dire, alcuni) latinisti italiani, il volume però solo in parte riesce nell’intento prefisso, di «custodire il loro prezioso patrimonio scientifico». Perché da un Dizionario ci si attende non solo la pietas del necrologio, ma anche, e soprattutto, il bilancio critico che è proprio di un obituary.

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