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Le contaminazioni che hanno fatto grande l’Italia

Uno sguardo alla storia Popolo di migranti quello italiano, ma anche, più lungamente e con più profondo imprinting, di immigrati. Per cui si può dire che anche nel sangue di Salvini e della Meloni si mescola il corredo genetico delle genti di tre continenti, e da esso sarà difficile distillare qualche purezza etnica

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 7 novembre 2019

La grottesca leggenda della “sostituzione etnica”, che secondo la destra sovranista minaccerebbe l’uomo bianco occidentale, e specificamente quello italico, è troppo inverosimile per meritare una confutazione scientifica. Anche se il ricorso al termine “etnia”, e non a quello di “razza”, tradisce il fatto che i propalatori hanno avuto notizia della demolizione di quel termine e di quella nozione, operata dalla scienza genetica. E dunque sono più smaliziati di quanto non sembri. Ma poiché l’espressione viene correntemente usata da Matteo Salvini e da Giorgia Meloni, insieme ad altri statisti di pari rango, forse è utile mostrare l’inconsistenza e il ridicolo di questa presunta minaccia. Tanto più che i racconti suggestivi, ancorché fantasiosi, trovano terreno fertile nella disinformazione e incultura che regna in ampi strati della popolazione italiana.

La confutazione di una simile narrazione è utile tuttavia per mostrare una realtà storica che costituisce una demolizione in radice dell’ideologia sovranista della destra nostrana. Domandiamo: qual è l’etnia italiana? Esiste in purezza una qualche caratterizzazione antropologico-genetica degli italiani che non sia il risultato di un processo storico? L’etnia italiana in che cosa consiste e quando è nata?

Bisogna dare uno sguardo di lungo periodo e incominciare a far confidenza con un fatto sorprendente: gli antenati degli italiani, vale a dire i popoli italici, sono in grandissima parte immigrati. Piantata nel cuore del Mediterraneo, la Penisola italica è stata per millenni colonizzata da popolazioni indoeuropee e di altre provenienze, dai Celti, ai Reti, dai Latini ai Siculi, dai Falisci ai Messapi, dai Veneti ai Greci, ecc. formando un caleidoscopio di culture che non ha uguali in Europa. E l’Italia romana ha proseguito questo straordinario rimescolamento di popoli, attraverso il trasferimento forzato di prigionieri ridotti in schiavitù. Come è stato ricordato di recente, tali «immigrazioni forzate» erano «destinate a mutare gli assetti culturali ed economici della Penisola. Galli, germani e iberici, ma soprattutto africani e poi greci, macedoni, traci, galati, siriani e cilici confluivano da tre continenti verso le coste italiane». ( O. Rossini, 73 a.C. «Spartaco e gli altri» in Storia mondiale dell’Italia, a cura di A. Giardina, Laterza).

Certamente più popolare, ma poco meditata è la ventura etnica prodotta delle cosiddette invasioni barbariche. Giova ricordare che si è trattato di gigantesche migrazioni di popoli, i quali lasciavano le loro terre per insediarsi nel Sud dell’Europa e che hanno portato sul “suolo patrio” Vandali, Goti, Visigoti, Longobardi, ecc. A questa fase di tumultuosi rimescolamenti etnici è seguita la pagina delle occupazioni che giungono fino all’età contemporanea: quella, in successione, di Arabi, Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Francesi, Austriaci.

E qui per brevità si accenna solo di passaggio all’intensa frequentazione di genti diverse, richiamate dalle nostre città portuali, da Venezia a Genova, da Napoli a Palermo, e al ruolo cosmpolita di Roma, che per secoli ha richiamato pellegrini da tutto il mondo (e che Gramsci considerava un ostacolo alla formazione dello spirito nazionale italiano). Dunque, non dimentichiamolo, popolo di migranti quello italiano, ma anche, più lungamente e con più profondo imprinting, di immigrati. Per cui si può dire che anche nel sangue di Salvini e della Meloni si mescola il corredo genetico delle genti di tre continenti, e da esso sarà difficile distillare qualche purezza etnica. Ma tale singolare storia demografica della Pensisola porta a considerare anche altri aspetti.Un autorevole studioso del Medioevo, Girolamo Arnaldi ci ha lasciato una specifica monografia (L’Italia e i suoi invasori, 2004), nella quale sosteneva la giusta tesi che nonostante le continue scorrerie e dominazioni, il nostro Paese, giunto tardi all’indipendenza e all’unità, era tuttavia riuscito a conservare e sviluppare una sua specifica identità culturale.

Ma questa, concludiamo, è la grande lezione universale dell’Italia, la quale, grazie alle sue classi dirigenti, è riuscita a fare della diversità e del cosmopolitismo, della varietà di culture che ha ospitato, la chiave della sua storia singolare e vincente. Tutte le volte, s’intende, nelle quali ha avuto classi dirigenti.

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