Le città metropolitane nell’ingorgo provinciale
Le città metropolitane furono previste dalla legge 142 del 1990 per dare un indispensabile governo unitario alle conurbazioni cresciute a ridosso delle grandi città, dando vita ad un continuum urbano […]
Le città metropolitane furono previste dalla legge 142 del 1990 per dare un indispensabile governo unitario alle conurbazioni cresciute a ridosso delle grandi città, dando vita ad un continuum urbano […]
Le città metropolitane furono previste dalla legge 142 del 1990 per dare un indispensabile governo unitario alle conurbazioni cresciute a ridosso delle grandi città, dando vita ad un continuum urbano che ha oltrepassato persino i confini delle province, rendendo inadeguati al governo di queste aree tanto il comune capoluogo che la stessa provincia. La legge del 1990 attribuì alle regioni il potere di delimitarne i confini, nel logico presupposto che non potessero coincidere con quelli provinciali, perché altrimenti non ci sarebbe bisogno di nessun nuovo ente metropolitano. Tuttavia, l’inerzia delle regioni (che non hanno interesse a far nascere enti che metterebbero in ombra esse stesse) e del governo (che, incomprensibilmente, non ha mai attivato i propri poteri sostitutivi per scavalcare l’inerzia regionale) ha di fatto bloccato la nascita delle città metropolitane.
È per queste ragioni che il governo ha creduto bene, con il decreto legge 95 del 2012, di abrogare la precedente normativa (poi trasfusa nel testo unico del 2000) e di introdurne una che si supponeva di immediata applicazione, ma che è stata annullata dalla Corte costituzionale.
Si è così giunti al paradosso: le città metropolitane che, secondo l’art. 114 della Costituzione, «costituiscono» la Repubblica, non hanno allo stato alcuna disciplina. Ma ancora più paradossale è la pseudo-soluzione a questo grande pasticcio contenuta nel disegno di legge Delrio – attualmente all’esame della Camera, che lo sta profondamente cambiando, perché la sua approvazione nel testo originario darebbe il colpo esiziale ad ogni prospettiva di buon governo delle città metropolitane.
Questo disegno di legge, nonostante le molte modifiche, prevede ancora: 1) che le città metropolitane coincidano con le province (vanificando così la ragione stessa della loro esistenza: tanto vale, a questo punto, tenersi le province); 2) che se un terzo dei comuni non aderiscano alla città metropolitana, vi sia un’assurda duplicazione di enti perché solo per questi comuni resterebbe in piedi la provincia; 3) che non vi sia elezione diretta degli organi da parte dei cittadini: gli statuti potranno anche prevedere l’elezione degli organi della città metropolitana da parte dei cittadini, ma a condizione che si disarticoli il comune capoluogo; 4) che il sindaco metropolitano sia dunque quello del capoluogo e che il «consiglio metropolitano» (l’organo di «indirizzo e controllo», ma con funzioni anche di gestione, in quanto il sindaco metropolitano potrà attribuire specifiche deleghe ai consiglieri) sia composto da soli professionisti della politica (cioè sindaci e consiglieri dei comuni eletti dai consiglieri dei comuni che compongono la città metropolitana). Questo anche perché sia il sindaco che i consiglieri della città metropolitana (ossia del più grande ente territoriale dopo la regione) dovrebbero svolgere il loro incarico (che comporta enormi responsabilità) a titolo gratuito.
Inoltre, in questo modo non solo si inibirebbe una delle poche cose buone della legge sui sindaci del 1993 – cioè la possibilità di scegliere personalità esterne instaurando un rapporto proficuo con le competenze della società civile – ma si creerebbe un ente che già sulla carta non potrà far valere l’interesse dell’area vasta (ossia della città metropolitana), in quanto ogni eletto nel consiglio (e quindi anche i delegati, ossia gli assessori) sarà naturalmente spinto a far prevalere gli interessi della piccola comunità di abitanti che lo ha eletto direttamente e in cui svolge le funzioni di consigliere.
La razionalizzazione del sistema degli enti locali è una delle priorità nazionali e l’istituzione delle città metropolitane è certamente uno strumento essenziale. Ma per fare ciò che serve (scrivere una buona legge) occorrerebbe che ciò che resta della classe dirigente di questo paese comprendesse che la politica deve tornare a occuparsi della soluzione dei problemi concreti dei cittadini, smettendola di confonderla con l’arte di confezionare prodotti (quali che siano) per venderseli mediaticamente, tenendo presente che chi ben comincia è «solo» alla metà dell’opera; figuriamoci quando si comincia male. Ma sarà possibile in questo paese, almeno una volta, cominciare presto e bene?
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