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Le case popolari di Ahmadinejad si sono sbriciolate

Le case popolari di Ahmadinejad si sono sbriciolateDistruzione e macerie nella provincia iraniana di Kermanshah – Xinhua

Sisma in Iran Piena emergenza nel nord-ovest del paese: 540 morti, 70mila sfollat, 15.500 abitazioni completamente distrutte e 2mila villaggi gravemente danneggiati. Esplode la rabbia: molte strutture erano state costruite nell’ambito del Mehr Housing Project, piano di sostegno alle famiglie povere evaporato tra corruzione, buchi di bilancio e scarsa qualità

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 15 novembre 2017

Bruciano cartone e dormono uno attaccato all’altro sotto le tende che la Mezzaluna Rossa sta distribuendo da lunedì, ma di notte la temperatura è troppo bassa: nella provincia iraniana di Kermanshah colpita dal sisma è ancora piena emergenza.

I soccorritori hanno raggiunto i villaggi colpiti, scavato tra le macerie e il numero delle vittime è inesorabilmente aumentato. Così come quello dei sopravvissuti rimasti senza un tetto sulla testa.

Il bilancio del terremoto di magnitudo 7.3 che domenica sera ha colpito il confine tra Iran e Iraq ieri è stato aggiornato: 540 morti, 8mila feriti, 70-80mila sfollati, 15.500 case completamente distrutte, 15mila danneggiate, sette città e 2mila villaggi gravemente colpiti e sette comunità del tutto scomparse dalle mappe.

Il presidente Rouhani ha visitato la provincia nord-orientale e le città che hanno subito i danni maggiori, Sarpol-e Zehab e Qasr-e Shirin. Ha assicurato il massimo dell’assistenza, ma si procede a rilento per l’interruzione delle strade e i blackout elettrici: intere zone sono senza acqua e corrente e le frane hanno impedito per ore i soccorsi via terra. Si è operato dal cielo, con gli elicotteri, ma molte comunità non hanno ancora ricevuto tende, coperte, cibo.

La rabbia cresce insieme alla paura di non sopravvivere in simili condizioni. Rouhani ha promesso aiuti immediati e provato a rispondere alle polemiche che ruotano intorno al disastro: buona parte delle case crollate erano state costruite dal suo predecessore nell’ambito del mega progetto di edilizia popolare, Mehr Housing Project. Non solo abitazioni civili: hanno subito danni gravi ospedali, scuole, edifici pubblici.

Chi ha sbagliato pagherà, ha promesso il presidente. Poco prima il suo vice Jahangiri aveva annunciato l’apertura di un’inchiesta per il crollo delle case popolari volute da Ahmadinejad, parte integrante delle sbandierate politiche a favore degli ultimi. Quella edile non si è solo rivelata un fardello enorme per le casse dello Stato, ma una bara per decine di persone.

Ora i sopravvissuti denunciano: quei palazzi erano malandati già da tempo, alcuni avevano riportato crolli o danni ben prima del sisma di domenica.

A pagare sono le famiglie più povere e le comunità più marginalizzate, come Kermanshah, a maggioranza curda, lontana dai piani di sviluppo delle grandi città e più povera della media nazionale.

Esplosione della corruzione, incremento del tasso di inflazione del 40% e un buco nel bilancio statale che Rouhani ha ereditato e tentato di tappare: a gennaio di quest’anno il parlamento ha votato per stracciare il Mehr Housing Project, tra le grida di giubilo di stampa e opinione pubblica, ma ci sono da terminare i lavori iniziati. Prevedibilmente il progetto sarà archiviato a marzo 2018.

Eppure quel piano «gentile» (mehr in persiano significa gentilezza) è stata colonna portante della politica populista del presidente Ahmadinejad, una colonna fallimentare soprattutto alla luce dell’obiettivo, garantire una proprietà immobiliare anche ai più svantaggiati. A guadagnarci sono stati politici corrotti che hanno ridotto il budget e aziende appaltatrici che hanno rosicchiato il possibile dalla qualità delle costruzioni.

L’idea alla base era utilizzare terreni statali per costruire edilizia popolare e vendere attraverso mutui a 99 anni garantiti dallo Stato: le banche facevano dunque da intermediarie tra Stato e costruttori, mentre – come spiega un articolo del Guardian del 2014 – la Banca centrale stampava più banconote per coprire le spese. Obiettivo: tirare su 17 nuove città e 1,5-1,8 milioni di unità abitative.

Dove? Fuori dai grandi conglomerati urbani, a poche decine di km in alcuni casi, in mezzo ad aree semi-desertiche in altri, dove rimbombava l’assenza di servizi. Da cui la necessità di costruire scuole, cliniche, moschee, parchi. Una fase mai realmente partita a causa della progettazione confusionaria e del preoccupante rigonfiamento dei costi.

Quattro anni fa era stato lo stesso governo Rouhani a denunciare le miserevoli condizioni del piano: il ministro dello Sviluppo urbano, Akhoundi, aveva contato almeno 20mila nuove case popolari staccate dalle reti idrica, elettrica e fognaria.

Subito erano stati previsti nuovi finanziamenti da 400 milioni di dollari per completare i progetti già avviati, nell’intenzione di chiudere prima possibile un progetto che ha ingurgitato miliardi per consegnare ai più poveri delle strutture trasformate in un cimitero.

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