Le avventure sul set tra le fogne di Vienna e i capricci di Welles
Cinema Angela Allen racconta il suo lavoro in «Il terzo uomo», dalla scena della ruota agli inseguimenti. Il capolavoro di Carol Reed è stato presentato al Noir in Festival per celebrarne i 70 anni
Cinema Angela Allen racconta il suo lavoro in «Il terzo uomo», dalla scena della ruota agli inseguimenti. Il capolavoro di Carol Reed è stato presentato al Noir in Festival per celebrarne i 70 anni
Ogni tanto sarebbe utile spostare lo sguardo per cogliere punti di vista differenti. Abituati come siamo a sentir parlare registi, attori, eventualmente sceneggiatori o comunque persone che hanno un ruolo cosiddetto creativo nella realizzazione di un film dimentichiamo che molte altre figure sono indispensabili e soprattutto testimoni di quel che accade su un set. Bene ha fatto quindi il Noir in festival che ha celebrato il 70° anniversario de Il terzo uomo con la proiezione di una copia sistemata a dovere (dove secondo i titoli di testa, sulla inconfondibile musica di Anton Karas, i protagonisti sono Joseph Cotten, Orson Welles, Trevor Howard e Valli, così semplicemente, senza alcuna Alida. Nel 2015 il restauro in 4k a cura di Studio Canal era già stato presentato al Cinema Ritrovato di Bologna in occasione del centenario della nascita di Orson Welles ).
Ma soprattutto a completare la celebrazione è arrivata Angela Allen, accompagnata da Adrian Wootton. Angela, lucidissima quasi novantenne, all’epoca, non ancora ventenne, era al suo primo lavoro cinematografico come script supervisor sul set di Carol Reed per Il terzo uomo. Poi ha lavorato per una vita nel cinema, in particolare con John Huston, 14 film per cui ha fatto di tutto, tranne che l’amante di John, nonostante lei fosse molto affascinante, al punto che Marilyn, sul set de Gli spostati, la accusò di avere una tresca con suo marito Arthur Miller, ma era il suo lavoro confrontarsi con lo sceneggiatore del film – addirittura fece da controfigura per Ava Gardner che voleva evitare Frank Sinatra.
IL VIAGGIO a Vienna per Il terzo uomo è stato il suo primo all’estero. E ricorda una città ancora ampiamente segnata dai bombardamenti, controllata dai vincitori come Berlino (e come si vede nel film) con una strana percezione perché la troupe era inglese in una capitale sconfitta. Un set complicato dove lei, unica donna, anzi ragazza, della troupe per un mese e mezzo ha dovuto occuparsi principalmente di due aspetti importanti: la sequenza della ruota panoramica del Prater e l’inseguimento finale nelle fogne.
Angela ricorda il lungo lavoro fatto per i controcampi della ruota perché all’epoca ovviamente si girava tutto dal vero senza supporto di computer per rendere plausibile la scena. E finalmente, verso la fine delle riprese, lì arrivò Orson Welles per il suo primo ciak. «Avrebbe già dovuto essere sul set, ma non si capiva dove fosse, a Parigi? a Roma? Al punto che Reed girò alcune scene di ombre sui muri e alcuni controcampi affidandosi per il personaggio di Harry Lime all’aiuto regista Guy Hamilton (che diventerà poi regista a sua volta) il quale però era più magro di Orson e allora gli misero addosso un cappotto con la gruccia per renderlo più imponente; questo costrinse poi Welles a girare quasi sempre col cappotto e cappello. Quella prima ripresa era molto semplice e tutto filò liscio solo con un paio di ciak.
I problemi sorsero nelle fogne. Quando Orson finalmente scese trovò i tecnici della troupe che mangiavano panini col bacon. Ritenne la cosa disgustosa e se ne andò, rifiutandosi di girare là sotto. Così dovettero costruire un set a Londra dove lui finalmente girò, poi in montaggio venne sistemato tutto».
Allen ha ovviamente partecipato anche a tutto il lavoro di montaggio, non semplicissimo, ma riuscito perfettamente, anche nella lunga sequenza sotterranea che per dirla con il Welles di Filming Othello, alternava riprese della fogne viennesi allo studio londinese. Sempre nelle fogne viennesi Angela ricorda un’altra immagine, per lei indimenticabile, un cameriere distintissimo con tanto di vassoio d’argento che scendeva le scale in quel contesto maleodorante per portare la tazza di caffè al regista.
Contrariamente a quel che talvolta si è detto Welles non ha avuto alcun ruolo nella sceneggiatura, a parte un paio di battute aggiunte al suo personaggio, il resto è tutto frutto della sceneggiatura originale di Graham Greene, solo più tardi divenuta romanzo, che non è mai andato sul set limitandosi al lavoro preparatorio con Carol Reed.
CAPRICCI di Orson a parte (che si fece pagare rifiutando una percentuale sugli incassi, cosa di cui poi si pentì) sul set tutto andò per il meglio, tranne qualche propensione alcolica di qualcuno degli attori (Trevor Howard, non citato esplicitamente da Angela) «che però non beveva mai il mattino o durante le riprese». Per il resto sono parole di stima per Carol Reed, definito «il mio mentore, un workaholic, era sempre presente, spesso anche durante le riprese della seconda unità». E un ricordo è anche per Robert Krasker, australiano, direttore della fotografia, premiato con l’Oscar per questo lavoro, cui si devono alcune riprese in esterni oblique: secondo Angela era la prima volta che era stata usata quel tipo di inquadratura, codificata poi come Dutch Angle. Il terzo uomo fu un successo e soprattutto fu il primo film di genere a vincere il premio di un festival internazionale, a Cannes conquistò infatti la Palma d’oro nel 1949.
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