Le attrici di Fellini, misteriose, barocche
Centenaruio della nascita di Federico Fellini I volti,i corpi, le movenze, gli stili, le invenzioni: un catalogo senza fine
Centenaruio della nascita di Federico Fellini I volti,i corpi, le movenze, gli stili, le invenzioni: un catalogo senza fine
Il cinema felliniano è un universo brulicante di volti femminili: a volte grotteschi, poi algidi, oppure soavi, lunari; sbarazzini o incompresi, o perdutamente suadenti. Dieci nomi di attrici che hanno falcato la poetica del maestro riminese rendendola (im)palpabile e sognante.
Anouk Aimée
Maddalena e Luisa, La dolce vita e 8½: vizio e tedio, eleganza e rassegnazione. Aimée dipinge due ritratti complementari e tormentati, annichiliti da un’esistenza vincolata ai personaggi “perduti” di Mastroianni. Se durante la lavorazione di 8½ Sandra Milo è dovuta ingrassare 7 kg, Aimée ne ha dovuti perdere altrettanti: «Devi diventare un filo di donna, strapazzati un po’», le diceva il maestro tra una prova e l’altra. Rinominata “A.A.” dai francesi, per sottolineare il suo fascino cerebrale contrapposto a quello tutto eros di Brigitte Bardot, Fellini la lancia verso il grande pubblico e Lelouch la eleva a musa in Un uomo, una donna – con lei realizzerà altri otto film. Poi Demy, Cukor, Bellocchio, Bertolucci e Altman, che in Prêt-à-porter (1994) la circonda di indossatrici au naturel sulle note di Pretty dei Cranberries.
Tina Aumont
Dea dell’amore – nata il giorno di San Valentino, guarda caso – dagli occhi tellurici e abissali. Figlia d’arte (i genitori sono Jean-Pierre Aumont e María Montez), studia in America con Stella Adler e in Francia sposa Christian Marquand. Arriva in Italia nel ‘66, innamorandosi di Roma, dove vivrà fino a inizio anni 80. Nel mezzo tante esperienze, tra le più varie: Partner di Bertolucci, L’urlo e Salon Kitty di Tinto Brass, Metello di Bolognini, Il messia di Rossellini, Nina di Minnelli, Les hautes solitudes di Philippe Garrel, I corpi presentano tracce di violenza carnale di Sergio Martino. Nel Casanova felliniano è Henriette, libertina e sfrenata, «l’unico amore della mia vita» chiosa la voce di Gigi Proietti sulle labbra dell’«acquatico» Donald Sutherland.
Caterina Boratto
Carnagione d’alabastro e portamento aristocratico. Esordisce con Guido Brignone all’epoca dei telefoni bianchi. Poco dopo salpò per Hollywood perché la MGM la mise sotto contratto, ribattezzandola Catherine Barrett. Era il 1939. Due anni più tardi, all’ingresso degli Stati Uniti in guerra, fu obbligata a tornare in Italia senza nessun film realizzato per la major. Dopo alcune tragedie personali (durante il conflitto perse l’amato e un fratello), Fellini la “riscopre” a Roma, estasiato dal suo algido physique du rôle e le affida due parti affini in 8½ (sul set ritrova pure Mino Doro, suo partner in Marcella di Brignone) e Giulietta degli spiriti: nel primo è una misteriosa dama che “incanta” Mastroianni lungo il suo soggiorno termale; nel secondo è la madre snob e sprezzante di Giulietta Masina. Seguono poi piccoli ruoli per Risi, Bava, Castellari, Bazzoni. Fino a Salò di Pasolini dove – assieme a Elsa De Giorgi (girone della merda) e Hélène Surgère (girone delle manie) – si trasforma in matrona (girone del sangue) dall’animo decomposto.
Valentina Cortese
L’ultima diva italiana ci ha lasciati il 10 luglio scorso. Signora del teatro e attrice per Dassin, Aldrich, Antonioni, Losey, Gilliam, Zeffirelli, Truffaut – che le fa sfiorare l’Oscar con la Séverine di Effetto notte. Viene diretta da Fellini – suo grande amico assieme a Giulietta Masina – in Giulietta degli spiriti: barocca e svaporata (avvolta da tulle e margherite firmati Piero Gherardi), rimane costantemente sospesa in un mondo parallelo tra rugiada, oracoli, radioestesisti e peperoni, mentre recita “coi numeri”: «Sì, Federico era matto e io recitai pronunciando numeri su numeri. Il doppiaggio sarebbe stato fatto in un secondo momento. […] Quanto mi divertii a girarlo, quel film».
Lorella De Luca
Assieme ad Alessandra Panaro è stata la fidanzatina d’Italia, diretta da Dino Risi nella trilogia Poveri ma belli/Belle ma povere/Poveri milionari. Seguono Il musichiere con Mario Riva e il matrimonio con Duccio Tessari. Il suo debutto avviene nel Bidone, a soli 15 anni: è Patrizia, dolcissima figlia del reietto Augusto (Broderick Crawford). Un volto che è stato punto focale di freschezza e candore, tenero specchio dei nostri romantici anni 50.
Silvia Dionisio
Tra il lolitesco e l’imbronciato. Quando si pensa a Silvia Dionisio la nostra mente ci catapulta subito nei racconti dell’eros nostrano, come Ondata di piacere di Deodato, all’epoca suo marito. Diretta da Mario Monicelli (è Titti, l’amante di Ugo Tognazzi in Amici miei), Ettore Scola, Riccardo Freda, Paul Morrissey, Brunello Rondi, nel 1984 Fellini la sceglie per lo spot Campari intitolato Che bel paesaggio – Ragazza in treno accanto a Victor Poletti (l’Aureliano Fuciletto di E la nave va) e da quel momento si ritira a vita privata. Ad oggi si sono perse le sue tracce.
Barbara Jefford
Attrice shakespeariana di innata nobiltà (ha militato sia nella compagnia dell’Old Vic sia in quella del Royal National Theatre), allieva di Sybil Thorndike e fine interprete di repertori classici accanto a Michael Redgrave, Richard Burton, Anthony Quayle. Al cinema viene ricordata per due ruoli in particolare, a più di 30 anni di distanza l’uno dall’altro, quello di Molly Bloom nell’adattamento (1967) dell’Ulisse di Joyce e quello della coriacea baronessa Kessler in La nona porta (1999) di Polanski. Per Fellini è Ildebranda Cuffari, elegante quanto fieramente austera cantante lirica in E la nave va.
Sylva Koscina
Difficile da comprendere per molti – Enrico Lucherini non usa mezze misure per etichettarla come una «negata, ma simpatica» – la carriera di Sylva Koscina è qualcosa di estremamente cangiante: tra Italia e Stati Uniti, Totò e Paul Newman, Il ferroviere e Mani di fata, ha recitato per 40 anni in più di 120 film. Inizialmente scelta per 8½, la stampa dell’epoca (siamo a metà del ‘62) le dedica ampi spazi. L’attrice però non può rivelare nulla riguardo la sceneggiatura: «Fellini non vuole. Il mio ruolo lo costruisce di giorno in giorno, man mano che gira». Alla fine il regista cambierà idea e taglierà il personaggio. Ma per mantenere fede alla sua parola, la scritturerà in Giulietta degli spiriti, puntando quasi unicamente (per non rischiare?) sulla sua corroborante fisicità.
Elisa Mainardi
Forse la vera prediletta di Fellini, di impercettibile presenza perché spesso relegata in ruoli secondari o terziari. Allieva di Pietro Sharoff, debutta a teatro accanto Salvo Randone e viene diretta da Luciano Salce, Luchino Visconti, Giorgio De Lullo, Silverio Blasi. Al cinema non esce dal recinto delle caratterizzazioni in film di Tonino Valerii, Rino Di Silvestro, Stelvio Massi, Andrea Bianchi, Silvio Amadio. Lavora con Alberto Sordi e Mario Monicelli in Io e Caterina (diretto dallo stesso Sordi) e Il marchese del Grillo – nel primo è Teresa, domestica del maschilista Enrico Menotti; nel secondo è la moglie del rozzo carbonaio Gasperino, sosia del marchese Onofrio. Personaggi che, in realtà, sono elementi di pregio perché la fanno assurge al rango di “creatura” felliniana per eccellenza: vigorosa e procace (nel Satyricon e in Roma), effimera e colorata (nel Casanova), malinconia e signorile (E la nave va).
Magali Noël
Dopo La dolce vita e Fellini Satyricon, il regista riminese la fa precipitare, nel giro di poche ore, da Parigi a Cinecittà per la prova costumi di Amarcord. Avvolta in una coperta, Fellini non le fornisce alcuna indicazione sul personaggio, salvo chiederle di ammiccare e fare qualche smorfia. Nasce così il personaggio di Gradisca, romagnola ruspante (doppiata da Adriana Asti), iniziatrice ai pruriti sessuali per il giovane Titta e compagni, fasciata da quell’abito scarlatto (firmato Danilo Donati) che la imprimerà nella memoria cinefila. Reduce da esperienze d’oltralpe con maestri come Dassin, Clair e Renoir, Fellini le apre le porte del cinema italiano. Ma dopo Amarcord quasi più nulla di rilevante. Fino al 2000, quando Nico D’Alessandria, in Regina Coeli, la fa risorgere come protagonista nostalgica di un melodramma aperto alla speranza.
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