Le astrazioni di Dorazio, tessere una civiltà universale
Piero Dorazio, "Vocazione I", 1989, coll. privata
Alias Domenica

Le astrazioni di Dorazio, tessere una civiltà universale

"Piero Dorazio. Fantasia, colore, progetto", a cura di Francesco Tedeschi, Electa Da Zambianchi a Tedeschi, un volume a più voci sulla sua utopia di coniugare luce e idee, di restituire all’opera la complessità, la totalità (parola d’avanguardia!) della visione, al di là di ogni steccato

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 16 gennaio 2022

Precoce e inquieto, avido di vita, sempre disposto a misurarsi con le logiche, sempre più esclusive, del sistema dell’arte internazionale, Piero Dorazio ha attraversato con intelligenza l’arte del secondo Novecento. Nel corso della sua attività di artista, sempre accompagnata da una costante pratica riflessiva, in alcuni momenti più decisamente militante, Dorazio, nato a Roma nel 1927 e scomparso a Perugia nel 2005, ha conosciuto luoghi e situazioni incandescenti della ricerca artistica italiana e internazionale, mantenendosi fedele alle ragioni, non soltanto estetiche, di un’astrazione che non fabbrica immagini ma indaga per forza di pittura «il modo di vedere e di intendere le immagini». Una scelta di campo che nell’immediato dopoguerra rappresentava non solo un’indicazione di poetica, avendo piuttosto l’urgenza di una rivendicazione che metteva in piena luce il ruolo dell’arte in quel tempo fervido di trasformazione, di necessaria ricostruzione civile e culturale.

Così, quando nel 1947, dopo aver partecipato all’avventura breve del Gruppo Arte Sociale, Dorazio appena ventenne firmava, insieme ad Achille Perilli, Mino Guerrini, Pietro Consagra, Carla Accardi, Antonio Sanfilippo, Giulio Turcato e Ugo Attardi, il virulento manifesto di Forma1 («Noi ci proclamiamo FORMALISTI e MARXISTI» ne era il sonoro incipit), stava dichiarando senza esitazione – ma non senza conseguenze – la propria piena adesione a una ricerca d’avanguardia che pur riconoscendo le proprie radici nel Futurismo, non per questo intendeva seguire un percorso già segnato, cercando piuttosto nuovi spazi, altri orizzonti di ricerca e, anche, di informazione.

La fantasia dell’arte nella vita moderna, il monumentale volume (400 pagine, 470 illustrazioni) pubblicato in due edizioni da Dorazio nel 1954 è un documento ancora fragrante di quell’esigenza divulgativa e quasi pedagogica che aveva spinto il giovane artista a proporre una panoramica dell’arte degli ultimi cinquant’anni.

Un’opera ambiziosa, di larga divulgazione e di sicuro orientamento che rappresenta un passaggio decisivo nella definizione del profilo teorico della ricerca artistica di Dorazio, un’esperienza densa di incontri e di proposte oggetto di ricostruzione e di approfondito studio nei saggi raccolti, a cura di Francesco Tedeschi, nel volume Piero Dorazio Fantasia, colore, progetto (Electa, pp. 207, euro 25,00).

Riflessioni sull’opera dell’artista nel contesto dell’arte degli anni quaranta-sessanta: il sottotitolo circoscrive il campo d’indagine del libro, in cui sono confluiti gli esiti di un convegno promosso nel 2019 dall’allora nascente Centro di Ricerca sull’Arte astratta in Italia dell’Università Cattolica in collaborazione con l’Archivio Dorazio. Articolati in tre sezioni («Dorazio e la scena dell’arte in Italia», «Dorazio e il contesto internazionale», «Oltre la pittura. Il dialogo fra arte, spazio e architettura»), i diversi contributi analizzano per tagli cronologici e singole occasioni gli intensi legami che corrono tra la ricerca dell’artista romano e le contemporanee esperienze italiane, europee e statunitensi.

Viaggiatore, fin dagli anni della sua tumultuosa formazione Dorazio ha infatti costruito una rete importante di relazioni con artisti, intellettuali e istituzioni internazionali, frequentando le capitali europee – Parigi, naturalmente, ma anche Praga, dove insieme a Perilli e Guerrini nel ’47 partecipa con Angelo Maria Ripellino a un incontro di giovani antifascisti, e Berlino, dove stringe amicizia con Hans Richter –, recandosi poi spesso negli Stati Uniti, dove dal 1960 al 1969 avrà l’incarico di dirigere la School of Fine Arts dell’University of Pennsylvania, impostando un programma di studio sperimentale di cui ha analizzato gli sviluppi Kevin McManus.

Che si disegni il «ritratto dell’artista da giovane», come fa Claudio Zambianchi nel saggio che apre il volume, o che si metta a fuoco un singolo incontro (di Dorazio e Guston scrive Peter Benson Miller, mentre Alessandro Del Puppo si occupa di Ungaretti, Dorazio e il destino del libro d’arte) a tenere insieme i diversi contributi, che incrociano luoghi cruciali dell’arte a Roma come l’Art Club, la galleria l’Age d’or, la Fondazione Origine (ne scrivono Luigi Sansone e Paola Bonami), non è però soltanto l’oggetto ma anche il metodo di indagine. Grandissima attenzione viene infatti data ai materiali d’archivio, alle lettere e ai carteggi frutto di amicizie e complicità durevoli (quella con Perilli è fra le più vivaci e intellettualmente feconde) o che documentano invece rapporti più circoscritti nel tempo ma non meno significativi: dal 1948 al 1958, ad esempio, una fitta corrispondenza con Hilla Rebay, direttrice del Museum of Non-objective Painting di New York, dà modo a Dorazio di approfondire la conoscenza della pittura astratta di Kandinsky e della sua teoria, come ha sottolineato Davide Colombo, aprendo anche a un confronto sulla questione, spinosissima, della definizione di arte concreta.

Il dialogo fra Dorazio e il gruppo Zero viene invece ripercorso, sempre attraverso carte d’archivio, da Francesca Pola, mentre Elisabetta Cristallini, Stefano Setti e Valentina Sonzogni restituiscono secondo angolazioni diverse il costante corpo a corpo con lo spazio, architettonico e urbano, di Dorazio. A essere evidenziata è l’aspirazione alla sintesi delle arti che, ancora una volta, conferma il legame con l’avanguardia storica – con il Futurismo di Prampolini e Balla innanzitutto – di questo artista colto, aperto a sperimentazioni e pratiche di confine. Lo attestano le «cartografie» dei primi anni cinquanta, una serie di rilievi ora riletti da Francesco Tedeschi, che hanno per Dorazio il valore di una sfida: quella, mai risolta, di restituire all’opera la complessità, la totalità (altra parola d’avanguardia) della visione.

La speranza, con cui si concludeva La fantasia dell’arte, è, lo ricorda Luca Nicoletti, di riuscire a coordinare «tutte le componenti dinamiche della nostra cultura nella costante tessitura di quella che sarà la struttura di una civiltà universale». Un’utopia che non ha mai smesso di agire nella pittura di luce e di idee di Piero Dorazio.

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